Trasformare la casa natale di Tina Modotti, nel museo Tina Modotti, può essere una grande opportunità per Udine

"Esclama la Signora Svevo quando le domandiamo se ricorda lo scrittore irlandese che fu tra i pochi intimi di Italo Svevo; il suo sorriso è indulgente quando dice: El jera un pochetin strambo, e vuol intendere un tipo bizzarro". Siamo nell'estate del 1954 e la Stampa continua a dedicare particolare attenzione a Trieste, una città culturalmente viva, una città zona cuscinetto tra Oriente ed Occidente, una città ricca di potenti contraddizioni e paradossi, e che ha visto nella cultura quella vivacità che in questo periodo pare essere un pò dormiente e non ci resta che andar a rispolverare il passato, quello che ha reso Trieste una piccola capitale europea della cultura senza tempo. Livia Svevo Veneziani, rammenta il viaggio che portò per la prima volta James Joyce, un oscuro e giovane professore di lingua inglese, alle rive dell'Adriatico, dove visse per tanti anni e vi scrisse o pensò quasi tutta l'opera che dovette dargli una fa ma letteraria tra le più alte di cui abbia goduto un artista europeo, fa presente il giornalista. Riportiamo per intero alcuni passaggi di questo articolo meraviglioso:
- Correva il febbraio 1903 quando al giovane professore fu offerto un posto di insegnante alla Berlitz School di Trieste. Con la moglie e con pochissimi soldi era partito da Dublino: a Vienna non gli erano rimasti in tasca nemmeno i centesimi per comperarsi un caffè, ma ormai Trieste non era tanto lontana. Il mattino dopo fu svegliato nel treno da un grido un po' confuso e ripetuto ad intervalli: «Trieste Trieste >. Prese le valige e scese in fretta, seguito dalla moglie. Quando raggiunsero il giardino della stazione James le disse: «Aspettami qui. Corro in via San Niccolò, alla scuola, e mi faccio dare un po' di soldi >. Per quasi un'ora il giovane professore continuò a fermare gente e a chiedere dove fosse la via San Niccolò, ma nessuno l'aveva intesa nominare. Strano. Doveva essere una strada fuorimano o di nome nuovo. Finalmente un signore anziano, dopo aver pensato un po' su, spiegò: «Sì, via San Niccolò esiste. Ma a Trieste Sentendosi quasi mancare la voce Joyce chiese: «Ma perchè, qui non siamo a Trieste? > «No signore, questa è Lubiana». Solo più tardi il professore di inglese spiegò l'equivoco. Alla stazione di Lubiana il ferroviere aveva gridato « nach Triest » cioè « per Trieste », ma la piccola preposizione, Joyce, o non l'aveva udita o non l'aveva capita. A Trieste il professore di Dublino diventò presto amico di casa Svevo, dove si recava tre volte la settimana per insegnare l'inglese a Ettore e a sua moglie Livia. La bellezza della signora, a quel tempo, splendeva. I suoi fluenti capelli di allora ispirarono James Joyce uno scritto celebre. Nell'immaginazione dei professore l'onda che mollemente scendeva giù per le spalle di Livia cominciò a fondersi al fiume di Dublino, il Lyffe. La suggestiva assonanza tra i nomi di Livia e di Lyffe, non poteva non affascinare uno scrittore così sensibile al richiamo arcano delle parole. Cominciò sua moglie a parlargli della chioma della signora Svevo e a dirgli come ella, ogni sera, la scioglieva e spazzolava a lungo morbidamente. Quando, dopo quasi mezzo secolo, legge qualche brano di Anna Livia Plurabellc, la signora Livia non sa celare un'ombra di dispetto. Nel brano di Joyce, i biondi capelli della giovane donna triestina sono il simbolo delle acque del Lyffe. Ma a un certo punto lo scrittore di Dublino fa apparire, lungo le rive del fiume, due lavandaie che insaponano della biancheria sporca e parlano volgarmente. « El podeva scriver qualcosa de più poetico», commenta la signora dolcemente delusa, e guarda il suo ritratto appeso alla parete come per domandarci se l'oro tenerissimo di quella capigliatura straordinaria potesse associarsi ai panni non puliti. «El jera, la sa, un pochetin strambo », ci ripete Livia Svevo con l'aria di spiegare in parte un mistero che la arrovella da almeno vent'anni. Quando Joyce mise su casa a Trieste, ci racconta, comperò soltanto delle seggiole, poco meno di una ventina. L'appartamento non aveva altri mobili, nè tavoli, nè armadi, nè letti. Il ricordo di quella stravaganza del giovane professore che Svevo chiamò per scherzo "mercante di gerundi", sorprende ancora questa grande borghese nata in mezzo ad una delle fortune più solide della città adriatica. (...) Qui è vivo ogni particolare di uno degli incontri più singolari della storia letteraria del vecchio continente, quello tra Italo Svevo, mercante di vernici, e James Joyce, mercante di gerundi.
mb
fonte archivio storico la Stampa
Commenti
Posta un commento