Il mondo gattopardiano dopo il coronavirus

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C'è stato un tempo sconvolgente che sembrava non finire più. Sembrava che il mondo perduto non sarebbe più potuto tornare. Sembrava tutto. E invece, non è cambiato niente. Dopo settimane di bombardamenti mediatici ai limiti del terrorismo psicologico su come ci si dovesse comportare per evitare di essere contagiati dal cornoavirus e non incorrere nella covid19, sembraba impensabile pensare che il post coronavirus, potesse essere come il prima. Nulla sarà come prima, si diceva. Ci sarà un prima coronavirus, un dopo coronavirus. Si ripeteva.  La stretta di mano sembrava essere destinata all'estinzione, gli abbracci, essere ridotti al minimo, il baciarsi sulla guancia, due, tre volte, all'italiana, a rischio estinzione come i dinosauri, e che dire della distanza di sicurezza sociale di almeno un metro? Si temeva che questo potesse essere il modo tipico delle relazioni "aosciali".  Si pensava che potesse derivarne l'Italia dei balconi di D'Annunzio e Mussol...

L'Italia,un Paese dalle 12 lingue minoritarie e decine di dialetti

Sono 12 e sono tutte in aree di confine e non poteva che essere così. Si va dalla punta estrema della Calabria agli estremi del Nord Italia. 12 lingue minoritarie tutelate dalla Legge che solo dal 1999 hanno trovato tutela più o meno compiuta. Anche se poi nella realtà i problemi sono noti, a partire dal mancato pieno bilinguismo visivo. Si parla di lingue albanesi che interessano circa 100 mila persone che risalgono, come si legge nella Treccani, ad antiche migrazioni verificatesi fra il Quattro e il Settecento in alcune decine di comuni sparsi dalla Sicilia alla Calabria (dove vi è la maggiore concentrazione), dalla Basilicata alla Campania, dalla Puglia al Molise e all’Abruzzo. Poi ci sono le germaniche, lungo l’arco alpino, in una varietà di situazioni storiche e sociolinguistiche - le greche, in Aspromonte e nel Salento, le slovene (circa 60.000 persone) lungo il confine orientale in provincia di Trieste e di Gorizia, compresa una parte delle popolazioni dei due capoluoghi. In provincia di Udine, lungo la frontiera, si parlano dialetti slavi dei quali la popolazione locale tende ad affermare l’originalità rispetto allo sloveno standard; le croate (circa 3.000 persone) in tre piccoli centri del Molise. Interessante notare come invece nel Friuli Venezia Giulia non sia tutelata come lingua minoritaria, le catalane (circa 15.000 persone) ad Alghero in Sardegna. Si tutelano anche il francese, intendendo l’uso ufficiale di tale lingua in Valle d’Aosta e il suo utilizzo tradizionale come lingua di cultura in alcuni centri montani della provincia di Torino (ma tali usi non coincidono con un’effettiva diffusione della pratica parlata);il francoprovenzale (dalle 50 alle 70.000 persone), che è un insieme di varietà dialettali con caratteri originali, diffuse nell’uso parlato in Val d’Aosta e in parte della fascia montana della provincia di Torino, praticate anche, in seguito a un’antica emigrazione, in due piccoli centri della Puglia;  il friulano, praticato in gran parte del Friuli, con un’appendice in provincia di Venezia; il ladino (circa 30.000 persone) diffuso in alcune valli della provincia di Bolzano (dove la popolazione ha per seconda lingua il tedesco e gode di maggiori prerogative nell’uso delle varietà locali), e in aree delle province di Trento e Belluno (dove lo si parla accanto all’italiano); l’occitano (dalle 20 alle 40.000 persone)parlato nelle alte valli alpine del Piemonte occidentale tra la Vermenagna e la Val di Susa e (in seguito a un’antica immigrazione) in un comune della Calabria;il sardo (circa un milione di persone) praticato nelle sue diverse varietà in gran parte della Sardegna, ad esclusione delle isole linguistiche catalane e tabarchine e della fascia settentrionale dell’isola, dove prevalgono invece dialetti còrsi (e per inciso, il còrso è riconosciuto come lingua minoritaria in Francia ma non in Italia). Senza dimenticare i dialetti. Sono decine e decine. Il più parlato è il napoletano, seguito dal siciliano e poi dal veneto.

mb

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