Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

J'Accuse…! La lettera dei genitori di Giulio al Presidente egiziano




 J'Accuse…! (Io accuso…!.)
Non può che venir in mente questo, leggendo il testo della lettera di Paola e Claudio, i genitori di Giulio Regeni.
Passano gli anni, i contesti storici, eppure ci si ritrova a dover vivere un qualcosa che si era letto nei libri, nei testi di storia, quell'editoriale di Zola, quella lettera aperta al presidente della Repubblica francese Félix Faure, e pubblicato il 13 gennaio 1898 dal giornale socialista L'Aurore con lo scopo netto di denunciare pubblicamente i persecutori di Alfred Dreyfus.
Così scriveva in un suo passaggio, durissimo. Zola.

La verità, la dirò io, poiché ho promesso di dirla, se la giustizia, regolarmente osservata non la proclamasse interamente. Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice

Sono passati tre anni. Nessuna vera collaborazione c’è stata da parte delle autorità giudiziarie egiziane e dopo l’iscrizione nel registro degli indagati, da parte della procura italiana, di cinque funzionari dei Vostri apparati di sicurezza, la procura egiziana ha interrotto tutte le interlocuzioni.
Oggi sappiano che Giulio è stato sequestrato da funzionari dei Vostri apparati di sicurezza e lo sappiamo grazie al lavoro incessante degli investigatori e dei procuratori italiani e dei nostri legali.
Lei è venuto meno alla sua promessa.
Lei, lo apprendiamo dai media, ha un potere smisurato.

Risulta, quindi, difficile da credere che chi ha sequestrato, torturato, ucciso nostro figlio Giulio, chi ha mentito, gettato fango sulla sua persona, posto in essere innumerevoli depistaggi, organizzato l’uccisione di cinque innocenti ai quali è stata attribuita la responsabilità dell’omicidio di nostro figlio, tutte queste persone abbiano agito a Sua insaputa o contro la sua volontà.
Non possiamo più accontentarci delle sue condoglianze né delle sue promesse mancate.

Così i genitori di Giulio. Hanno dichiarato quella verità che in Egitto negano. Un durissimo affondo per non essere complici di chi nega giustizia e verità.

 Zola, concludeva, la sua lettera, in questo modo:

E l'atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l'esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell'umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque portarmi in assise e che l'indagine abbia luogo al più presto. Io aspetto. Vogliate gradire, signor Presidente, l'assicurazione del mio profondo rispetto.

 Così i genitori di Giulio:

Generale, Lei sa bene che la forza di un uomo e ancor più di un capo di Stato non può basarsi sulla paura ma sul rispetto. E non si può pretendere rispetto se si viene meno ad una promessa fatta a dei genitori ed a un intero Paese orfano di uno dei suoi figli. Giulio, lo sa bene anche lei, era un portatore di Pace, Giulio amava il popolo egiziano: ha imparato la Vostra lingua e ha fatto diversi soggiorni al Cairo cercando di vivere come un egiziano. Invece, è morto come, purtroppo, muoiono tanti egiziani.(...) Finché questa barbarie resterà impunita, finché i colpevoli, tutti i colpevoli, qualsiasi sia il loro ruolo, grado o funzione, non saranno assicurati alla giustizia italiana, nessun cittadino al mondo potrà più recarsi nel Vostro Paese sentendosi sicuro. E dove non c’è sicurezza non può esserci né amicizia né pace.

Una lettera profonda, scritta in tre lingue, italiano, inglese e arabo, che ha come destinatario non solo il Presidente e Generale egiziano, ma anche l'Egitto e quel mondo che non si rassegna alla menzogna, per chiudersi "con l’augurio di verità e giustizia". 


mb




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