Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato, tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193
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Elezioni 2018: Potere al Popolo nasce anche nell'Isontino. Primo appuntamento a Gradisca
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Dici che vogliamo una rivoluzione, Allora diamoci da fare subito, Forza, alzati, esci e comincia a camminare, potere al popolo, potere al popolo...
Niente male come auspicio, la canzone storica di John Lennon diventata il simbolo di riferimento per quel progetto nato da quel basso che è alla base di ogni società, quel basso che quando si muove può seriamente mettere in discussione i pilasti su cui si fonda quell'esistente sempre più precario, destabilizzante, cattivo. Quel basso che si chiama semplicemente potere al popolo .
Come andrà o come non andrà non importa. La sfida politica è iniziata, le assemblee territoriali si diffondono in ogni ovunque, vi è gran entusiasmo e soprattutto nulla da perdere e tanto se non troppo da conquistare con un programma avanzato, profondamente innovativo pur richiamandosi a precetti e concetti basilari per quel ribaltamento necessario per vivere tutti in un mondo più sano e giusto. Non c'è nulla da perdere, tutto da conquistare. E questo progetto si ritroverà anche in provincia, meglio ex provincia visto che non esiste più, di Gorizia. A Gradisca d'Isonzo venerdì 22 dicembre alle ore 17.30 presso la locale Casa del Popolo.
Marco Barone
questo il testo del programma:
DOV’ERA
IL NO, FAREMO IL SI’.
Crediamo
nella giustizia sociale, nell’uguaglianza, nella cooperazione,
nella solidarietà. Ci siamo battuti e continueremo a batterci,
durante e dopo le elezioni, per contrastare la barbarie che oggi ha
mille volti: il lavoro che sfrutta e umilia, la povertà e
l’ineguaglianza, i migranti lasciati annegare in mare, i disastri
ambientali, i nuovi fascismi, la violenza sulle donne, la crescente
repressione, i diritti negati. Nel mondo in cui viviamo 8 persone
hanno la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di essere umani; c’è la
capacità di produrre cibo per 12 miliardi di abitanti, ma un
miliardo di persone soffre la fame. Questa è la conseguenza di
scelte politiche precise che hanno trasferito poteri e risorse ai
ricchi e ai potenti in una dimensione senza precedenti, smantellando
i diritti, privatizzando e mercificando ogni cosa, assumendo la
competizione di tutti contro tutti come criterio di ogni relazione
sociale. A tutto questo diciamo NO, ma accanto al NO c’è il SI che
vogliamo costruire.
E’
il #poterealpopolo, la riappropriazione di sovranità popolare a
tutti i livelli ed in tutti gli ambiti della società.
E’
la riaffermazione del diritto ad un lavoro liberato dalla precarietà
e dallo sfruttamento, la riconquista dei diritti sociali, la
salvaguardia della natura, l’affermazione dei diritti delle donne.
Il
programma che presentiamo per le elezioni politiche parla del nostro
paese, ma è connesso a tutti quei movimenti e soggetti politici che
ovunque nel mondo si battono contro lo sfruttamento, la distruzione
di vita, diritti, democrazia, in una parola contro il capitalismo che
oggi si presenta con il volto della barbarie del neoliberismo. Quei
movimenti che, in tanta parte d’Europa e del mondo, sono la vera
novità, perché dicono con chiarezza che va costruita un’alternativa
alle politiche degli ultimi tre decenni ed indicano con altrettanta
chiarezza l'avversario.
Siamo
donne e uomini che combattono e ripudiano l'oppressione razzista, di
classe, di sesso, la guerra, la devastazione della natura e della
vita. Siamo persone e organizzazioni, democratiche e antifasciste,
comuniste e socialiste, femministe e ambientaliste. Veniamo da storie
differenti, ma vogliamo costruirne una comune tra chi non si rassegna
all'ingiustizia, allo sfruttamento, alla sopraffazione dilaganti e
vuole cambiare le cose.
Siamo
popolo ribelle.
Vogliamo
riprenderci il presente e il futuro.
1. DIFESA E
RILANCIO DELLA COSTITUZIONE NATA DALLA RESISTENZA
La
nostra Repubblica è fondata su chi lavora: questo è scritto nel
primo articolo della nostra Costituzione, nata dalla lotta di
liberazione dal nazi-fascismo. Il Referendum del 4 dicembre ha
mostrato la chiara volontà del popolo italiano di difendere la carta
costituzionale. Noi vogliamo non solo difenderla, ma attuare
pienamente le idee che erano espressione di chi ha partecipato alla
Resistenza, la costruzione di una nuova società fondata sulla
dignità e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori,
l’eliminazione di ogni discriminazione, il principio di eguaglianza
sostanziale, i diritti sociali, la salvaguardia del patrimonio
ambientale e artistico, il ripudio della guerra.
Per
questo lottiamo per:
ridare
centralità e dignità alle lavoratrici e ai lavoratori;
far
sì che ogni discriminazione di sesso, razza, lingua, religione,
orientamento sessuale venga superata, rimuovere
ogni ostacolo di carattere economico e sociale che limitano
l’uguaglianza;
promuovere
e supportare la cultura e la ricerca scientifica, salvaguardare il
patrimonio ambientale e artistico;
ripudiare
la guerra e dare un taglio drastico alla spesa militare;
rimuovere
il vincolo del pareggio di bilancio,
inserito di recente con la modifica dell'articolo 81, che sacrifica
le vite e la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori in nome
dell'equilibrio fiscale e dei parametri europei;
contrastare
in ogni modo CETA, TISA, TTIP, trattati internazionali aberranti che
vorrebbero cancellare ogni parvenza di sovranità popolare e
democratica in nome del primato del profitto;
ripristinare
l'elezione del Parlamento attraverso un vero sistema proporzionale,
contro il maggioritario e il rafforzamento del potere esecutivo;
contrastare
e sciogliere le organizzazioni fasciste, requisire i loro patrimoni
e riutilizzarli per finalità sociali, proprio come si fa per le
mafie.
2. UNIONE EUROPEA
Negli
ultimi 25 anni e oltre, l'Unione Europea è diventata sempre più
protagonista delle nostre vite. Da Maastricht a Schengen, dal
processo di Bologna al trattato di Lisbona, fino al Fiscal Compact,
le peggiori politiche antipopolari vengono giustificate in nome del
rispetto dei trattati. I ricchi, i padroni delle grandi
multinazionali, delle grandi industrie, delle banche, le classi
dominanti del continente approfittano di questo ”nuovo” strumento
di governo che, unito al “vecchio” stato nazionale, impoverisce e
opprime sempre più chi lavora. L’Unione Europea è uno strumento
delle classi dominanti che favorisce l'applicazione delle famigerate
e impopolari “riforme strutturali” senza nessuna verifica
democratica. Il “sogno europeo” dei tanti che hanno creduto nella
possibilità di costruire uno spazio di pace e progresso si è
scontrato con la dura realtà di un'istituzione al servizio degli
interessi di pochi. Noi ci sentiamo naturalmente vicini ai tanti
popoli che vivono nel nostro stesso continente, con i quali la nostra
storia si è intrecciata e si intreccia tuttora e che soffrono come
noi a causa di decenni di politiche neoliberiste; insieme a tutti
costoro vogliamo ricostruire il protagonismo delle classi popolari
nello spazio europeo.
Per
questo lottiamo per:
rompere
l'Unione Europea dei trattati;
costruire
un'altra Europa fondata sulla solidarietà tra lavoratrici e
lavoratori, sui diritti sociali, che promuova pace e politiche
condivise con i popoli della sponda sud del Mediterraneo;
rifiutare
l'ossessione della “governabilità”, lo svuotamento di potere
del Parlamento, il rafforzamento degli esecutivi, l'imposizione di
decisioni dall'alto perché “ce lo chiede l'Europa”;
il
diritto dei popoli ad essere chiamati ad esprimersi su tutte le
decisioni prese sulle loro teste a qualunque livello –
comunale, regionale, statale, europeo - pregresse o future, con il
ricorso al referendum.
3. PACE E DISARMO
Il
rischio che la “guerra a pezzi” che affligge il pianeta diventi
organica e trascini il mondo in un devastante conflitto generale
segna il nostro tempo. Non a caso riprende la corsa al riarmo con un
ruolo particolarmente aggressivo dell'amministrazione Trump, che
chiede a tutti i paesi della Nato di portare le proprie spese
militari al 2% del PIL. Il nostro paese si è trovato e rischia di
trovarsi sempre più coinvolto in guerre di aggressione a causa degli
automatismi dell’adesione alla Nato e per la responsabilità piena
e complice dei governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni;
per il medesimo vincolo di subalternità sul nostro territorio
proliferano basi militari vecchie e nuove (Sicilia, Campania,
Sardegna), si installano nuove bombe nucleari a Ghedi ed Aviano,
aumentano la produzione, le spese e gli impegni militari all’estero,
sia nel quadro della Nato che del nascente esercito europeo: una
spesa media di 800 milioni di euro l’anno per le “missioni”
militari all’estero e per il riarmo, circa 500 milioni di euro
all’anno per la diaria dei 50 mila soldati di stanza nelle basi
militari Usa e Nato, 80 milioni di euro al giorno per le spese
militari generali.
La
fuoriuscita dai trattati militari è la condizione per impedire il
coinvolgimento del nostro paese nelle guerre imperialiste del XXI
secolo, per una sostanziale riduzione delle spese militari, lo
smantellamento delle armi nucleari e delle basi militari, per una
politica di disarmo, neutralità e cooperazione internazionale.
Per
questo lottiamo per:
la
rottura del vincolo di subalternità che ci lega alla NATO e la
rescissione di tutti i trattati militari;
l’adesione
e sostegno dell'Italia al programma di messa al bando delle armi
nucleari in tutto il mondo;
il
ritiro delle missioni militari all'estero;
la
cancellazione del programma F35 e degli altri programmi militari e
la riconversione civile dell'industria bellica;
la
cancellazione del MUOS in Sicilia, lo smantellamento delle basi
militari in tutto il paese e la restituzione a fini civili dell'uso
del territorio, problema particolarmente grave in realtà come la
Sardegna.
4.PER
I DIRITTI DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI, PER IL DIRITTO AL
LAVORO
Ogni
giorno ci dicono che siamo “fuori dal tunnel”, che l’occupazione
è tornata ai livelli precedenti alla crisi, e che questo è
avvenuto grazie alle “riforme strutturali” e al Jobs Act in
particolare.
E’
un’assoluta falsità. Le ore lavorate tradotte in posti di lavoro
segnano ancora un milione di posti in meno rispetto al periodo
pre-crisi, e la crescita del numero di occupati registra solo
l’aumento dei contratti precari, del part-time imposto, della
sottoccupazione. Le politiche dei governi Renzi e Gentiloni non
hanno fatto altro che regalare risorse alle imprese – oltre 40
miliardi negli ultimi tre anni – mentre si è dato il via libera
definitivo ai licenziamenti illegittimi, ai demansionamenti, alla
videosorveglianza, alla massima precarietà, sia per il lavoro
dipendente che per quello autonomo, che spesso lo è solo di nome,
dato ad esempio l'alto numero di partite IVA che nascondono lavori
subordinati pagati con salari da fame e senza alcun diritto.
Ma
non si tratta solo degli ultimi anni. Dal pacchetto Treu alla legge
30, dal Collegato Lavoro all’articolo 8, dalla legge Fornero al
Jobs Act, precarizzazione e perdita di diritti sono diventati la
regola, i salari si sono impoveriti, la ricchezza si è spostata dal
lavoro al capitale e alla rendita. Se sei donna poi, il tuo lavoro
costa meno ed è più precario. Se sei giovane, sei ancora più
sfruttato e il lavoro è persino gratuito (stage, tirocini,
alternanza scuola/lavoro..). Cresce l'emigrazione di massa verso
altri paesi: non si tratta solo della “fuga dei cervelli” ma di
un vero e proprio esodo di migliaia di persone – più di quante ne
arrivino – che se ne vanno per cercare il lavoro e il salario che
qui non trovano più. Di lavoro si continua a morire, con la
deregolamentazione delle tutele per la sicurezza sul lavoro, la
prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. La
democrazia sui luoghi di lavoro è attaccata tutti i giorni, insieme
al diritto di sciopero.
Per
questo lottiamo per:
la
cancellazione del Jobs Act, della legge Fornero sul lavoro, e di
tutte le leggi che negano il diritto ad un lavoro stabile e sicuro;
la
cancellazione delle principali forme di lavoro diverse dal contratto
a tempo indeterminato, a partire dal contratto a termine “acausale”
e dai voucher;
la
messa fuori legge del lavoro gratuito, a qualsiasi titolo prestato;
il
contrasto effettivo al caporalato, alle moderne forme di schiavismo,
al lavoro nero o “grigio”;
la
cancellazione dell’articolo 8 della legge 148/2011 - che dà alla
contrattazione aziendale la possibilità di derogare in senso
peggiorativo rispetto al contratto nazionale e alle leggi - e del
cosiddetto Collegato Lavoro;
l’introduzione
di un compenso equo ed esigibile per le lavoratrici e i lavoratori
autonomi, e l’estensione ad essi degli ammortizzatori sociali
previsti per il lavoro dipendente;
il
ripristino dell’originario articolo 18 e la sua estensione alle
imprese con meno di 15 dipendenti;
il
ripristino della scala mobile;
la
fine delle discriminazioni di genere e della disparità salariale;
misure
incisive per la sicurezza sul lavoro, aumentando fondi e risorse per
i controlli;
la
difesa e il recupero di un reale diritto di sciopero, attraverso la
modifica della l. 146/90;
una
legge sulla democrazia nei luoghi di lavoro che garantisca a tutte e
tutti il diritto di scegliere liberamente la propria rappresentanza
sindacale: tutte/i elettori e tutte/i eleggibili senza il vincolo
della sottoscrizione degli accordi.
Per
impedire che continui la fuga delle giovani e dei giovani dall’Italia
e riaffermare il diritto al lavoro per tutte e tutti, è necessario
un Piano per il Lavoro centrato su:
investimenti
pubblici in politiche industriali e nella riconversione ecologica
delle economia;
assunzioni
pubbliche per potenziare e riqualificare il welfare (i dipendenti
pubblici in Italia in rapporto alla popolazione sono ai livelli più
bassi d’Europa: 5,2% contro l’8,5 della Francia, il 7,9 della
Gran Bretagna, il 6,4 della Spagna, il 5,7 della Germania);
la
riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore settimanali, tanto più
necessaria a fronte dei processi in atto di automazione delle
produzioni;
la
riduzione dell’orario di lavoro nell’arco della vita,
cancellando la controriforma Fornero.
5.
PREVIDENZA
L'attacco
al lavoro in questi anni è stato sistematico. Si è rivolto contro
le persone al lavoro, contro chi, avendo lavorato tutta una vita, si
è visto togliere il diritto ad una pensione certa e dignitosa,
contro le disoccupate e i disoccupati.
Le
“riforme” previdenziali che si sono succedute, dalla Dini alla
Maroni, alla Fornero, hanno ridotto notevolmente l’ammontare
dell’assegno pensionistico, ed hanno aumentato continuamente l’età
pensionabile.
Gli
effetti della legge Fornero sono stati violentissimi per tutti i
soggetti coinvolti: per i lavoratori in produzione che non ce la
fanno a continuare a lavorare in età avanzata, per le donne su cui
grava ingiustamente il doppio carico del lavoro produttivo e
riproduttivo; per i giovani che trovano un nuova barriera
nell’accesso al lavoro dalla forzata permanenza degli
adulti/anziani. Negli ultimi tre anni gli occupati sono aumentati di
1 milione tra gli ultracinquantenni, mentre i contratti precari sono
aumentati di 500mila unità.
Le
controriforme pensionistiche sono state giustificate dallo spettro
della mancata tenuta del sistema pensionistico. Ma il rapporto tra
contributi versati e pensioni erogate, al netto dell’assistenza e
delle tasse, è in attivo dal 1996, grazie principalmente ai
contributi dei lavoratori dipendenti che versano molto di più di
quanto prendano poi.
Per
questo lottiamo per:
l'abolizione
della “riforma” Fornero;
un
trattamento pensionistico dignitoso, proporzionato all'ultimo
salario percepito;
il
diritto alla pensione a 60 anni per tutti;
l'adeguamento
delle pensioni minime al reale costo della vita, per una vecchiaia
dignitosa;
l’introduzione
di un minimo di pensione, con 15 anni di contributi, compresi i
contributi figurativi;
l’introduzione
per le pensioni future di un massimo di pensione e di cumulo dei
trattamenti pensionistici a 5000 euro lordi mensili.
6.
ECONOMIA, FINANZA, REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA
L'articolo
3 della Costituzione è incompatibile con le scelte scellerate in
materia di economia e finanza fatte dai governi di qualunque colore
negli ultimi trent'anni. Ribadiamo la necessità di cancellare
l'obbligo del pareggio di bilancio inserito in Costituzione e la
volontà di disobbedire al Fiscal Compact. Crediamo inoltre che sia
urgente trasferire ricchezza dalle rendite e dai capitali al lavoro e
ai salari, ricostruire il controllo pubblico democratico
sull’economia contro disoccupazione di massa, precarietà, povertà.
Vogliamo colpire realmente l'evasione fiscale, che sottrae oltre 110
miliardi ogni anno ai salari e alla spesa sociale, e lottare per
redistribuire la ricchezza tra chi ha sempre di più e chi ha sempre
meno.
Per
questo lottiamo per:
un'imposta
sui grandi patrimoni: l’1% più ricco degli italiani detiene il
25% della ricchezza nazionale, 415 volte quello che è posseduto dal
20% più povero della popolazione;
il
ripristino della progressività del sistema fiscale secondo il
dettato costituzionale, diminuendo le tasse sui redditi bassi e
aumentandole su quelli più alti: l’Irpef, quando fu introdotta,
prevedeva 32 scaglioni di reddito, con l’aliquota più bassa al
10% e la più alta al 72%, mentre ora gli scaglioni sono 5 con la
prima aliquota al 23% e l’ultima al 43%;
una
lotta seria alla grande evasione ed elusione fiscale, a partire da
quella delle grandi multinazionali (Google, Amazon, Apple..);
la
fine dei trasferimenti a pioggia alle imprese e della continua
riduzione delle tasse sui profitti;
il
recupero dei capitali e delle rendite nascoste;
politiche di
contrasto dei rapporti con i cosiddetti “paradisi fiscali” da
parte delle aziende italiane;
la fine delle
privatizzazioni e delle esternalizzazioni, il blocco della svendita
del patrimonio manifatturiero, la ripubblicizzazione delle
industrie e delle infrastrutture strategiche privatizzate negli anni
passati;
la fissazione di
un tetto per gli stipendi e le liquidazioni dei grandi manager;
la
nazionalizzazione della Banca d'Italia e la creazione di un Polo
finanziario pubblico per il credito a partire dalla
ripubblicizzazione di Cassa Depositi e Prestiti – per sostenere
gli Enti locali in progetti di pubblica utilità - e delle
principali banche;
il ripristino
della separazione tra banche di risparmio e di affari;
l’istituzione di
una commissione per l’audit sul debito pubblico, in funzione della
sua rinegoziazione e ristrutturazione, andando a colpire la quota
del debito detenuta dal grande capitale speculativo e per una
conferenza internazionale sul debito. Il debito pubblico italiano
non dipende dall’aver vissuto “al di sopra delle nostre
possibilità”: il rapporto tra entrate e uscite dello stato è in
attivo, al netto degli interessi, da circa 25 anni (per 672 miliardi
dal 1980 al 2012), ma ci siamo indebitati ulteriormente per pagare
alla finanza privata 2.230 miliardi di interessi a tassi di usura.
7.
SCUOLA, UNIVERSITÀ, RICERCA
La
scuola, l'università e la ricerca sono state massacrate dalla
mannaia neoliberista. Taglio dei fondi e attacchi alla libertà
d'insegnamento e ricerca, precarizzazione del lavoro e blocco dei
salari sono la norma da decenni a questa parte. Noi crediamo che la
formazione sia un pilastro della democrazia, e quindi vogliamo una
scuola pubblica di qualità, finalizzata all'acquisizione di un
sapere critico e non di semplici competenze funzionali alle logiche
mercatiste, gratuita fino ai più alti gradi, laica e aperta davvero
a tutte e tutti; vogliamo un’Università pubblica, gratuita, con un
reale dritto allo studio per chi non ha i mezzi, e vogliamo che la
ricerca nel nostro paese sia libera da interessi e pressioni
economiche e possa svilupparsi in autonomia, vivendo dei soli
finanziamenti pubblici e mettendosi al servizio della collettività.
Per
questo lottiamo per:
la
cancellazione di tutte le riforme che hanno immiserito la scuola,
l’università e la ricerca e le hanno messe al servizio delle
esigenze delle imprese;
la
copertura totale del fabbisogno di posti negli asili nido e nella
scuola dell'infanzia pubblica;
il
rilancio della collegialità e della vita democratica nelle scuole,
con l'abolizione della figura del “dirigente-manager”;
l'introduzione
di un limite massimo di 20 alunni per classe e la generalizzazione
del tempo pieno per il primo ciclo d'istruzione, l'elevamento
dell'obbligo scolastico (e non formativo ) a 18 anni;
l'eliminazione
dell'alternanza scuola-lavoro;
l'abolizione
dei test INVALSI;
la
difesa del carattere pubblico dell’istruzione, con l’abolizione
di ogni finanziamento alle scuole private;
un
serio adeguamento salariale per il personale docente e non docente
diogni
ordine e grado, l’assunzione di tutti i precari con 36 mesi di
servizio e la cancellazione del precariato per il futuro;
la
gratuità degli studi universitari e postuniversitari pubblici;
l'obbligo
della remunerazione dei dottorati e di ogni tipologia di
collaborazione con i dipartimenti universitari;
un
aumento consistente della quota di PIL destinata all’istruzione,
il potenziamento dei fondi d’Istituto, l’aumento del Fondo di
Finanziamento Ordinario per gli Atenei sulla base del numero degli
iscritti e non di criteri premiali, una seria politica pubblica di
sostegno alla ricerca, la gratuità dei libri di testo e la certezza
del diritto allo studio fino ai più alti gradi, con pari condizioni
in tutto il territorio nazionale;
un
piano straordinario di edilizia scolastica con particolare
riferimento alla sicurezzaantisismica.
8.
BENI E ATTIVITA’ CULTURALI, COMUNICAZIONE E INFORMAZIONE
Con
gli ultimi governi l’investimento in cultura è sceso alle 0,7% del
Pil; si sono emanate leggi che hanno ridotto la cultura a merce; si è
proseguito con la politica degli “eventi”, degli “una tantum”
e dei “bonus”. Si è riportato il sevizio pubblico
radiotelevisivo sotto il diretto controllo del governo; si sono
eliminati i finanziamenti pubblici all’informazione indipendente,
cooperativa, culturale e scientifica. Per noi la cultura e
l’informazione sono un bene
pubblico,
patrimonio di tutti, non privatizzabile e non mercificabile. Sono
diritti
fondamentali e inalienabili.
Solo l’intervento pubblico può garantire un reale pluralismo e una
reale indipendenza della produzione e dell’offerta di cultura e di
informazione dalle logiche di mercato. Anche su questo si misura oggi
la disuguaglianza: non solo tra chi ha e chi non ha, ma anche tra chi
sa e chi non sa.
Per
questo lottiamo per:
portare
l’investimento nella cultura almeno all’1% del Pil;
leggi
che garantiscano risorse pubbliche certe a sostegno della produzione
e distribuzione indipendente, dell’associazionismo culturale, dei
luoghi della fruizione;
riforme
di tutte le istituzioni culturali pubbliche la cui gestione deve
essere affidata alle forze sociali, culturali e professionali del
settore;
costruzione
in tutti i quartieri delle nostre città di una rete di spazi
pubblici della cultura: luoghi di incontro, partecipazione,
fruizione culturale, produzione, sperimentazione e formazione
gestiti dal territorio;
assicurare
ai lavoratori della cultura i diritti di tutti i lavoratori, fermare
i processi di precarizzazione. Garantire continuità di reddito e
tutele, riconoscendo, nei settori in cui è fisiologico, il
carattere “intermittente” del lavoro culturale: dietro il lavoro
che “emerge” c’è un lungo lavoro sommerso che è
“lavoro” e come va tale retribuito e tutelato;
leggi
di tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali ed
artistici da parte dello Stato; un piano straordinario di
manutenzione del paesaggio e del nostro patrimonio storico ed
artistico, bibliotecario e archivistico; il riconoscimento di tutte
le professionalità del settore del restauro e dell’archeologia;
nuove
norme sul diritto d'autore che, difendendo il compenso economico e
la possibilità per gli autori di decidere dell'integrità e del
destino della propria opera, consentano contemporaneamente di
scaricare e condividere opere d'ingegno sulla rete per uso
esclusivamente personale; le norme attuali sono inutilmente
vessatorie o addirittura d'ostacolo allo svolgimento di servizi
pubblici quali, ad esempio, il prestito bibliotecario di opere su
supporto digitale;
la
difesa della neutralità della Rete e un controllo pubblico sui big
data, i
loro detentori e l'utilizzo che ne fanno;
una
vera legge sul conflitto di interessi e legge antitrust;
una
riforma che ribadisca la centralità del servizio pubblico
radiotelevisivo e che ne garantisca una gestione democratica e
partecipata, pluralista e decentrata;
il
sostegno pubblico alle testate indipendenti, alle cooperative, alle
pubblicazioni culturali e scientifiche.
9. SANITÀ,
ASSISTENZA, LOTTA ALLA POVERTÀ
Un
paese sempre più preda della crisi, impoverito e incattivito, vede
crescere l'emarginazione sociale,
conseguenza del sistematico smantellamento del sistema di welfare
pubblico perseguito in questi anni. 18 milioni di persone sono a
rischio di povertà e di esclusione sociale, un dato in crescita
rispetto agli anni scorsi; 12 milioni di persone rinunciano a curarsi
per motivi economici. È particolarmente grave l'attacco in corso al
sistema sanitario pubblico e universalistico, riconosciuto come uno
dei migliori al mondo per l'efficacia nel garantire a tutte e tutti
il diritto alla salute. La percentuale di PIL destinata alla spesa
sanitaria è oggi inferiore alla soglia di rischio indicata dall'OMS
e si procede verso ulteriori tagli.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: livelli assistenziali
in caduta libera, lunghezza delle liste d'attesa in continua
crescita, una conseguente diseguaglianza di accesso ai servizi,
accentuata anche dall'introduzione del welfare
aziendale che rompe l'universalismo del diritto alla salute e lo
vincola al contratto di lavoro. Sono radicalmente insufficienti le
politiche
di assistenza,
come gli asili, o i servizi sul territorio per il sostegno agli
anziani. I diversamente abili ed i soggetti sociali fragili sono
sempre più spesso abbandonati a loro stessi o alle loro famiglie,
senza alcuna assistenza economica e materiale e alcun serio programma
di inserimento e inclusione sociale. Noi invece crediamo che
chiunque, in qualunque condizione, abbia diritto alla salute,
all'assistenza, ad una vita indipendente, libera dal bisogno e
dignitosa.
Per
questo lottiamo per:
l’istituzione
di un reddito minimo garantito contro la povertà, l'esclusione
sociale, la precarietà della vita;
la
garanzia dei livelli essenziali di assistenza erogati dal SSN e la
loro omogeneità su tutto il territorio nazionale;
l'eliminazione
dei ticket sulle prestazioni sanitarie;
il
taglio drastico dei tempi di attesa, anche attraverso la modifica
delle norme che regolano l'intra
moenia;
un
nuovo programma di assunzioni per sanità e servizi
socio-assistenziali,
che elimini il precariato, con l’immediato sblocco del turn-over
lavorativo;
l'uscita
del privato dal business dell'assistenza sanitaria;
il
potenziamento dei servizi sanitari esistenti, con il blocco dei
processi di ridimensionamento e chiusura degli ospedali e lo
sviluppo di una rete capillare di centri di assistenza sanitaria e
sociale di prossimità;
la
definizione di un piano nazionale per la non autosufficienza,
centrato sull'assistenza domiciliare integrata;
dare
attuazione all'inclusione delle persone con disabilità e dei
soggetti fragili nella scuola, nel lavoro, nella società, per il
diritto ad una vita piena, cancellando gli ultimi provvedimenti che
vanno in senso contrario.
10.
DIRITTO ALL'ABITARE, ALLA CITTÀ, ALLA MOBILITÀ
In
un paese colpito da una crisi decennale, dove le imprese sono dedite
alla rapina dei fondi pubblici e all'aumento dello sfruttamento ma
ciò nonostante non riescono a guadagnare quanto vorrebbero, le case,
le città e i servizi pubblici essenziali diventano sempre più
centrali nella corsa al profitto. Nonostante lo sbandierato tasso di
nuclei proprietari, tra i più alti d'Europa, vediamo sempre più
gente senza casa, sfrattata con la forza, costretta a pagare affitti
senza controllo o ad occupare, mettendosi in una situazione di
insicurezza e illegalità dovuti solo al bisogno. Vediamo inoltre
città sempre meno a misura delle persone, dove i servizi vengono
tagliati – trasporti -, peggiorano in qualità – igiene pubblica
-, costano sempre più cari – acqua, elettricità, gas. Vediamo
centri storici trasformati in vetrine, da cui i poveri e gli
indesiderati vengono scacciati col DASPO, e periferie ghetto, private
dei servizi essenziali, spesso preda del degrado e della criminalità
organizzata. I servizi pubblici essenziali sono, ancora, il nuovo
terreno di caccia per i profitti: acqua, elettricità e gas costano
sempre di più e non sono garantiti, mentre la mobilità e i
trasporti non rispondono più agli interessi delle classi popolari ma
alle esigenze di guadagno delle grandi imprese. Noi crediamo che la
casa, le città vivibili, la mobilità siano diritti fondamentali.
Per
questo lottiamo per:
un
piano straordinario per la messa a disposizione di 1.000.000 di
alloggi sociali in 10 anni, attraverso il riutilizzo del patrimonio
esistente;
l'introduzione
di un'imposta fortemente progressiva sugli immobili sfitti,
l'abolizione della cedolare secca e la possibilità per i sindaci di
requisire lo sfitto in situazioni di emergenza abitativa;
una
politica di controllo degli affitti, stabilendo canoni rapportati
alla rendita catastale;
l'abolizione
dell'articolo 5 della legge Lupi, che nega a chi occupa la
possibilità di allacciarsi alle reti elettriche, idriche e del gas;
un
controllo delle tariffe per i servizi pubblici essenziali e la loro
garanzia per tutte e tutti, in particolare per chi è in condizioni
di disagio socio-economico;
un
piano di riqualificazione delle periferie, in cui vivono 14 milioni
di persone;
un
sistema di trasporto pubblico potenziato, e alla portata di tutti,
con il contrasto ai processi di privatizzazione e la riaffermazione
del carattere pubblico dei servizi e delle aziende, con particolare
attenzione ai bisogni dei pendolari e al trasporto locale.
11.
IMMIGRAZIONE E ACCOGLIENZA
Le
principale forze politiche alimentano le tendenze xenofobe e
razziste, indicando nei migranti la causa principale del disagio
sociale: è una falsità assoluta. E’ la concentrazione di
ricchezze e potere nelle mani di pochi la causa dell’impoverimento
dei molti, non chi fugge dalle guerre o dai disastri economici e
ambientali provocati dalle politiche liberiste.
È
necessario un discorso solidale e di alleanze fra sfruttati che porti
all’estensione dei diritti sociali per tutte/i, cittadini italiani
e migranti. E’ necessario dare accoglienza e diritti tanto ai
richiedenti asilo che stanno giungendo dal 2011 quanto alle cittadine
e i cittadini migranti residenti da anni in Italia.
Per
questo lottiamo per:
il
superamento della gestione emergenziale, militarizzata e
“straordinaria” dell’accoglienza, proponendo – a partire dal
modello SPRAR - centri di piccole dimensioni, gestite dal pubblico e
che permettano a chi arriva percorsi autonomi di inserimento,
abitativo, sociale, lavorativo, indipendentemente dal loro status
giuridico;
la
valorizzazione delle professionalità coinvolte nell’accoglienza,
persone oggi costrette a contratti precari e a supersfruttamento;
l'abolizione
del regolamento di Dublino III, delle leggi Minniti-Orlando e di
tutte le leggi razziste che lo hanno preceduto;
l’abrogazione
degli accordi bilaterali che permettono il rimpatrio forzato e di
quelli che servono ad esternalizzare le frontiere, per l'attivazione
di canali legali e protetti d’ingresso in Europa;
l’abrogazione
del T.U. in materia di immigrazione (Bossi–Fini) frutto di
emendamenti della Turco–Napolitano, la rottura del vincolo tra
permesso di soggiorno e contratto di lavoro, la chiusura di tutte le
forme di detenzione amministrativa, il passaggio di competenze ai
Comuni per il rilascio e rinnovo dei titoli di soggiorno, meccanismi
di regolarizzazione permanente;
l’approvazione
dello ius
soli
e la sua estensione a chi è comunque cresciuto in Italia, una
revisione estensiva della legge sulla cittadinanza, il diritto di
voto a partire dalle elezioni amministrative per chi risiede
stabilmente nel nostro paese.
12.
AUTODETERMINAZIONE E LOTTA ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE E LE PERSONE
LGBTQI
Nel
Gender Gap Report 2017, il rapporto sul divario tra uomini e donne,
l'Italia è all'82esimo posto su 144, era al 50esimo nel 2015: si
inaspriscono dunque le disuguaglianze. Sulle donne continua a
scaricarsi il doppio lavoro produttivo e riproduttivo, le
gerarchizzazioni dentro il lavoro, il dominio maschile dello spazio
pubblico, la violenza materiale e simbolica che nega i percorsi di
autodeterminazione e libertà.
La
crisi ha acuito i problemi. L’Italia è penultima in Europa per
occupazione femminile, sulle
donne si concentrano il part-time imposto (più che doppio rispetto
agli uomini), la precarietà e la sottoccupazione. I tagli al
sistema di welfare, in una società incapace di rimettere in
discussione la divisione dei ruoli maschili e femminili, si traducono
nella negazione del “diritto al tempo” con le donne che dedicano
al lavoro domestico e di cura una media di oltre 5 ore al giorno, il
triplo degli uomini. La
violenza contro le donne è cronaca quotidiana, tra le mura
domestiche dove si consuma la maggior parte delle violenze, nella
perpetuazione di un dominio maschile incapace di fare i conti con
l’affermazione di autonomia e libertà delle donne. La
questione di genere si intreccia con la questione di classe, e
colpisce in particolare i corpi delle donne migranti.
Le
discriminazioni sul lavoro e nella società, la violenza riguardano
anche gay, lesbiche, trans e tutto l'universo LGBTQI, che combatte
quotidianamente contro i pregiudizi, l'odio, l'omofobia, la
transfobia. Il non riconoscimento pieno delle relazioni e delle
famiglie delle persone LGBTQI significa ridurre le loro vite a
esistenze individuali e isolate, e riaffermare un’idea autoritaria
di famiglia che compromette la libertà di tutti e tutte.
Al
carattere sistemico della violenza risponde oggi un movimento
femminista mondiale: "Non
una di meno" è la forza politica che tiene insieme e traduce
percorsi di liberazione dal dominio di classe, di genere, di razza e
orientamento sessuale. La lotta femminista partita dalla Argentina ha
portato nelle piazze centinaia di migliaia di donne contro la
violenza in tutte le sue forme. Lo sciopero dal lavoro riproduttivo e
produttivo dello scorso 8 marzo ha messo in luce le tante forme di
sfruttamento invisibili, nel lavoro di cura, nel lavoro da casa e
nella richiesta di disponibilità e prestazione permanente. Anche in
Italia il movimento femminista ha espresso, e continua ad esprimere,
con autonomia e intelligenza, una capacità fortissima di lotta,
elaborazione, proposta.
Per
questo lottiamo per:
la
parità di diritti, di salari, di accesso al mondo del lavoro a
tutti i livelli e mansioni a prescindere dall’identità di genere
e dall’orientamento sessuale;
la
radicale rimessa in discussione dei ruoli maschile e femminile nella
riproduzione sociale ed un sistema di welfare
che liberi tempo di vita per tutte e tutti;
la
rottura del carattere monosessuato dello spazio pubblico e della
politica;
soluzioni
che inibiscano ogni forma di violenza (fisica, ma anche sociale,
culturale, normativa) e discriminazione delle donne e delle persone
LGBTI (attraverso una legge contro l’omotransfobia);
una
formazione che fornisca strumenti per decostruire il sessismo e
educhi al riconoscimento della molteplicità delle differenze;
la
piena e reale libertà di scelta sulle proprie vite e i propri
corpi, il pieno diritto alla salute sessuale e riproduttiva, negata
in tante strutture pubbliche dalla presenza di medici obiettori. Va
garantito a tutte l’accesso alla fecondazione assistita, anche
eterologa, a prescindere dallo stato di famiglia. Va combattuta la
diffusione dell’HIV attraverso la promozione della contraccezione
rendendo disponibili a tutte e tutti le nuove tecniche di
prevenzione. Vanno vietate le mutilazioni genitali su* bambin*
intersessuali prima che possano capire e sviluppare la loro identità
di genere;
la
cancellazione di ogni pacchetto sicurezza. La sicurezza delle donne
è nella loro autodeterminazione;
i
diritti e le aspirazioni di gay, lesbiche e trans, sia come
individui che nella loro vita di coppia, con l’introduzione del
matrimonio egualitario, del riconoscimento pieno
dell’omogenitorialità a tutela dei genitori, dei figli e delle
famiglie e con la ridefinizione dei criteri relativi all’adozione,
consentendola anche a single e persone omosessuali, per riconoscere
il desiderio di maternità e paternità di tutte e tutti.
13.
L’ AMBIENTE
La
questione ambientale è al centro di migliaia di vertenze su tutto il
territorio nazionale. E’ amplificata da un modello capitalistico
predatorio che provoca rotture sempre più profonde nel rapporto tra
l’uomo, le altre specie animali, il resto della natura,
accumulando enormi problemi che il pianeta e le generazioni future
avranno sempre più difficoltà a risolvere. La devastazione
ambientale è anche questione di classe, di cui pagano le conseguenze
assai più gli oppressi e gli esclusi che i ricchi e privilegiati.
Un intero continente, quello africano, fa i conti non solo con le
guerre ma anche con siccità, desertificazione, inquinamento, mentre
nei paesi del primo mondo continuiamo a sprecare risorse. I paesi
dominanti non riescono però più a confinare i danni globali:
l'inquinamento, lo stravolgimento climatico, la crisi idrica, gli
incendi ci colpiscono sempre più al cuore e ci impongono un
urgente e radicale ripensamento del modello di produzione e
consumo.
Anche
nel nostro Paese da anni contrastiamo una costante devastazione dei
territori in nome del profitto (si pensi a “Grandi Opere” come la
TAV, il progetto TAP, le trivellazioni petrolifere, i siti
contaminati, la cementificazione...). Non c’è “economia verde”
che tenga, se non si mette in discussione la logica del profitto. C’è
bisogno di una pianificazione democratica su scala nazionale e
internazionale incentrata sulla salvaguardia dell’ambiente e il
risanamento dei danni connessi al cattivo uso delle risorse. Anche in
questo campo l’omologazione tra centrodestra e centrosinistra ha
portato all’approvazione di una serie di “riforme” che hanno
stravolto conquiste precedenti, di cui va rivendicata l’abrogazione
immediata: dallo Sblocca Italia alla riforma Madia che cancella il
ruolo delle Sovrintendenze, alla neutralizzazione della valutazione
di impatto ambientale all’aggressione ai parchi nazionali, ecc.
Per
questo lottiamo per:
la
messa in sicurezza e salvaguardia preventiva dei territori, la
tutela del paesaggio e dei beni comuni, del patrimonio storico e
architettonico, programmazione, pianificazione e gestione
partecipate e trasparenti fondate su obiettivi di interesse
collettivo in alternativa al business dell'emergenza ambientale e a
quello della cosiddetta green economy;
lo
stop alle cd. “Grandi Opere”, dalla TAV in Val di Susa alla TAP
in Salento, col riorientamento degli investimenti verso un grande
piano per la messa in sicurezza idrogeologica e sismica del Paese;
una
nuova politica energetica che parta dal calcolo del fabbisogno reale
e dalla radicale messa in discussione della Strategia Energetica
Nazionale, raccogliendo le rivendicazioni dei movimenti NO TRIV e la
richiesta di democrazia dei territori contro un modello
centralizzato orientato da interessi multinazionali
la
moratoria sui nuovi progetti estrattivi riguardanti combustibili
fossili e lo stop a ogni progetto di estrazione non convenzionale,
l’ eliminazione dei sussidi pubblici alle fonti fossili o
ambientalmente dannose (16 miliardi annui) da utilizzare per la
creazione diretta di posti di lavoro nell'efficienza energetica,
nelle energie rinnovabili, in ricerca e innovazione tecnologica
l’uscita
totale dal carbone come fonte di produzione energetica entro il
prossimo decennio, l’uso delle biomasse solo da scarti, la
pianificazione degli impianti eolici con criteri di tutela
paesaggistica e faunistica, lo stop a infrastrutture energetiche
come il TAP e Poseidon;
una
legge seria per lo stop al consumo di suolo che obblighi i comuni a
localizzare i nuovi interventi nel territorio urbanizzato e non in
quello non urbanizzato una legge urbanistica che ponga fine alla
stagione della deregulation a favore dei privati, l’aumento delle
dotazioni pubbliche (verde, servizi, trasporti non inquinanti), lo
stop alla cementificazione delle coste e il recupero ambientale
delle spiagge (il 75,4% della fascia entro 200 m. dalla costa è
edificato);
un
piano nazionale per la bonifica dei siti inquinati fondato sul
principio “chi inquina paga” e il monitoraggio e la tutela delle
condizioni di salute delle popolazioni delle aree interessate;
un
piano di investimenti per la mobilità sostenibile e il trasporto
pubblico (dalle ferrovie al trasporto urbano) fondato sui reali
bisogni delle classi popolari e sul rispetto dell'ambiente, che
superi la prevalenza dei sistemi di trasporto su gomma, potenziando
il traffico merci su ferro e via mare;
un
radicale potenziamento della ciclabilità, con una politica di
investimenti pubblici
una
nuova politica dei rifiuti, che indirizzi la produzione delle merci
verso la recuperabilità, disincentivando i prodotti non riciclabili
e usa e getta; la gestione pubblica dell’impiantistica e del ciclo
di smaltimento, la messa al bando dell'incenerimento attraverso
l'eliminazione degli incentivi, investimenti su raccolta
differenziata, recupero, riuso, riciclo, riduzione, realizzando la
strategia “Rifiuti Zero”
la
ripubblicizzazione dell'acqua bene comune, e più in generale dei
servizi pubblici, cancellando il modello di gestione attraverso
soggetti di diritto privato come le SPA, nel rispetto della volontà
popolare espressa nel Referendum del 2011.
14.
UNA
NUOVA QUESTIONE MERIDIONALE
La
crisi in cui versa il nostro Paese da oltre un decennio colpisce con
particolare violenza i territori storicamente più svantaggiati, il
Sud e le Isole. Il tasso di disoccupazione in queste aree è quasi il
doppio di quello nazionale; un giovane meridionale su due è senza
lavoro, a fronte di livelli di istruzione e formazione molto alti. I
salari sono mediamente più bassi e il lavoro è più precario, a
fronte di un costo della vita che negli ultimi anni è salito
vertiginosamente, specialmente nelle aree metropolitane. Il
disinvestimento dello Stato dai settori strategici, quando non è
coinciso con una svendita, come nel caso dell'ILVA, ha trasformato
porzioni enormi di territorio, come Bagnoli, in cimiteri industriali,
preda di interessi speculativi senza alcuna prospettiva di sviluppo,
martoriati da livelli altissimi di inquinamento ambientale.
L'inquinamento è l'altro denominatore comune del Sud, da Bagnoli
all'ILVA, dalla mega discarica di Terzigno al fiume Sarno, a Priolo;
quando i territori non sono inquinati da residui industriali o da
discariche, sono selvaggiamente occupati da foreste di pale eoliche,
impianti di produzione di energia da CDR, oppure diventano territorio
d'elezione per lo stoccaggio di scorie nucleari, o per l'allargamento
e la costruzione di nuove basi militari.
I livelli sanitari
garantiti sono inferiori alla media nazionale, così come le risorse
destinate a istruzione e formazione che nel Sud e nelle isole
diminuiscono. In questo contesto è comprensibile la ripresa
drammatica dell'emigrazione da Sud a Nord – a volte forzata, come
nel caso degli insegnanti – e dell'emigrazione verso l'estero, che
vede i meridionali e gli isolani in testa alle classifiche di chi
parte per non tornare. Noi riteniamo che la questione meridionale
debba tornare ad essere questione centrale sul piano nazionale ed
europeo. Va
invertita la rotta: il
Sud e le Isole non vanno visto più come un problema, ma come una
grande opportunità per il paese, liberandone positivamente le
energie.
Per
questo lottiamo per:
una
politica di investimenti pubblici in settori produttivi mirati allo
sviluppo dei territori più svantaggiati, contrastando
il ricatto inaccettabile che vorrebbe barattare il lavoro con la
salute e la tutela dell’ambiente, e perché le ragazze e i ragazzi
del Sud abbiamo il pieno diritto di studiare e lavorare nella
propria terra;
livelli
sanitari realmente equiparati a quelli del resto del paese;
una
rete di infrastrutture e trasporti pubblici radicalmente potenziata;
un
forte investimento in istruzione e formazione orientato al Sud;
la
fine di una strategia che vede nel meridione una mega discarica, o
una mega centrale elettrica per il paese;
la
difesa dei territori dagli appetiti speculativi di imprenditori
nostrani e grandi multinazionali.
l’affermazione
di un modello di economia alternativo, che accanto a produzioni
qualificate valorizzi la bellezza, la storia, la terra, le nuove
tecnologie, la cultura di città che sono da sempre luoghi di pace,
crocevia di popoli e culture.
15. LA GIUSTIZIA
Migliaia
di persone, negli ultimi anni, si sono trovate colpite da
procedimenti penali o misure di polizia perché lottavano per il
diritto all’abitare, al lavoro, alla salute, allo studio, per il
rispetto dell’ambiente e del territorio. In pratica, grazie ad una
politica corrotta e a certa stampa, la “legalità” ha colpito chi
lottava per la giustizia sociale. Invece del riconoscimento politico
delle rivendicazioni, la risposta dello Stato e della stessa
magistratura è stata solo repressiva: chi lotta viene processato e
arrestato, chi è bisognoso o più semplicemente ha comportamenti
considerati, a ingiusto titolo, devianti o pericolosi, viene represso
e condannato.
L'ovvia
conseguenza è che le carceri, come ci dicono le statistiche, sono
sovraffollate di immigrati, malati psichici, persone senza dimora e
tossicodipendenti.
Al
contrario, quando sono i settori popolari a reclamare giustizia,
questa non arriva mai, a causa del sostanziale classismo del nostro
sistema giudiziario. Anche l’accesso ai tribunali amministrativi è
costosissimo; non solo i privati cittadini, ma anche i piccoli comuni
spesso non riescono a far valere i propri diritti contro le
amministrazioni più forti o, peggio, i privati con maggiori mezzi
economici a disposizione (pensiamo per esempio alla multinazionale
Tap in Salento).
Il
costo della giustizia ordinaria è aumentato anche a
causa di marche da bollo e di contributi unificati
sempre più esosi; i cittadini sono inoltre costretti, per molte
materie, a tentare accordi stragiudiziali (con mediatori o arbitri a
pagamento). L'obiettivo è scoraggiare totalmente il ricorso alla
giustizia da parte delle classi popolari.
Le
campagne d'odio contro il diverso, visto come deviante, portate
avanti anche da alcune amministrazioni locali, istigano all’acquisto
di armi. Sono così triplicate in dieci anni le licenze per il porto
d’armi, arrivando al dato allarmante che quindici italiani su
cento detengono una pistola o un fucile.
Per
questo lottiamo per:
l'amnistia
per i reati legati alle lotte sociali, sindacali e ambientali;
la
depenalizzazione di una serie di reati, ereditati dall’ordinamento
fascista del Codice Rocco e da sempre nuove leggi speciali;
la
riforma di alcune misure sanzionatorie e di regole procedurali
(fogli di via, sorveglianze speciali, avvisi orali);
l'abolizione
delle norme che hanno dato poteri di sicurezza e decoro
urbano ai sindaci;
l’abrogazione
della legislazione speciale di natura emergenziale risalente agli
anni 70 e 80 (legge Reale);
la
legalizzazione delle droghe leggere e la depenalizzazione del
consumo di sostanze;
il
contrasto dei fenomeni corruttivi diffusi e della reimmissione di
capitali di provenienza mafiosa, inasprendo le pene e allungando i
termini di prescrizione per riciclaggio e autoriciclaggio;
l'educazione
all'antimafia, chiedendo ai Comuni di ottemperare all'obbligo di
informare la cittadinanza sui beni confiscati, e favorendo le
amministrazioni che risocializzino questi beni;
la
smilitarizzazione della guardia di finanza e la trasformazione in
polizia specializzata in contrasto alla corruzione, all'evasione ed
elusione fiscale e tributaria;
l’introduzione
dei codici identificativi per gli agenti di polizia in servizio di
ordine pubblico;
la
modifica della insufficiente legge sul reato di tortura,
approvata dal parlamento a luglio 2017;
un
giro di vite sulla libera disponibilità di armi;
l’abolizione
dell'ergastolo e del 41 bis, e un provvedimento di indulto che
risolva il problema del sovraffollamento carcerario;
una
riforma della vita carceraria, soprattutto attraverso un più ampio
utilizzo delle misure alternative e di validi percorsi per il
reinserimento dei detenuti;
il
ripristino della gratuità dei processi in materia di diritto del
lavoro;
MUTUALISMO,
SOLIDARIETÀ E POTERE POPOLARE
Le
condizioni di vita delle classi popolari peggiorano sempre di più,
per ciò che riguarda la salute, l'istruzione, ma anche più
semplicemente la possibilità di godere di tempo liberato da dedicare
ad uno sport, un hobby, etc. In quest’ottica mutualismo e
solidarietà non sono semplicemente un modo per rendere un servizio,
ma una forma di organizzazione della resistenza all'attacco dei
ricchi e potenti; un metodo per dimostrare nella pratica che è
possibile, con poco, ottenere ciò che ci negano (salute, istruzione,
sport, cultura); una forma per rispondere, con la solidarietà, lo
scambio e la condivisione, al razzismo, alla paura e alla sfiducia
che altrimenti rischiano di dilagare. Le reti solidali e di
mutualismo sono soprattutto una scuola di autorganizzazione delle
masse, attraverso la quale è possibile fare inchiesta sociale,
individuare i bisogni reali, elaborare collettivamente soluzioni,
organizzare
percorsi di lotta, controllare dal basso sprechi di denaro pubblico e
corruzione.
Tutti
i punti precedenti sono strettamente intrecciati con la questione
centrale, la necessità di costruire il potere
popolare.
Per noi potere al popolo significa restituire alle classi popolari il
controllo sulla produzione e sulla distribuzione della ricchezza;
significa realizzare la democrazia nel suo senso vero e originario.
Per
arrivarci abbiamo bisogno di fare dei passaggi intermedi e,
soprattutto, di costruire e sperimentare un metodo, che noi abbiamo
chiamato controllo
popolare.
Il controllo popolare è, per noi, una palestra dove le classi
popolari si abituano a esercitare il potere di decidere,
autogovernarsi e autodeterminarsi, mettendo in discussione le
istituzioni e i meccanismi che le governano. Per questo chiamiamo
controllo popolare la sorveglianza sulla compravendita di voti alle
elezioni, le visite ai Centri di Accoglienza Straordinaria, le
battaglie per il diritto alla residenza e all'assistenza sanitaria
per i senza fissa dimora, la vigilanza sui ritardi e gli abusi nei
rilasci dei permessi di soggiorno, la battaglia contro l'allevamento
intensivo di maiali nel Mantovano, quella contro la TAP in Salento,
la TAV in Val Susa, l'eolico selvaggio in Puglia, Basilicata, Molise,
il DASPO nei centri urbani. Insomma, chiamiamo controllo popolare
tutte le battaglie che in questi anni hanno testimoniato la
resistenza delle classi popolari e vivificato il nostro Paese.
Costruire
il potere popolaresignifica
anche ridurre le disuguaglianze, evitare speculazioni e contrastare
efficacemente le organizzazioni criminali che
avvelenano e distruggono la nostra terra, sottraendo loro bassa
manovalanza, reti clientelari e occasioni per fare affari; significa
far vivere nelle pratiche sociali una prospettiva di società
alternativa al capitalismo È per questo, insomma, che crediamo e
speriamo che il nostro compito non si esaurisca con le elezioni, ma
che il lavoro che riusciremo a mettere in campo ci consegni, il
giorno dopo le urne, un piccolo ma determinato esercito di sognatori,
un gruppo compatto che continui a marciare nella direzione di una
società più libera, più giusta, più equa.
Il 13 novembre in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale della Gentilezza, nata da una conferenza del 1997 a Tokyo e introdotta in Italia dal 2000. Per questa propongo una storia per le classi di scuola primaria. La storia che segue, ambientata a Trieste, ha per protagonisti tre supereroi ed una nonna, Rosellina. Il disegno è stato fatto in una classe di una scuola dove la storia è stata letta. mb I tre supereroi e la nonnina Rosellina C’era una volta, anzi no. C’erano una volta tre supereroi. Avete presente quelli con i super poteri che si vedono nei film? Nei cartoni animati? Nei fumetti? Sì, proprio loro. E si trovavano in una bellissima città italiana, Trieste. Non erano mai stati prima a Trieste. Rimasero stupiti nel vedere quanto era lungo il molo sul mare, e quanto era enorme la piazza con due alberi di due navi dove sventolavano le bandiere, ogni tanto. Dopo essersi fatti un selfie sul molo Audace che è costruito sui resti di una vecchia n
Come calcolare capienza di una piazza durante manifestazione? La matematica non è una opinione qualcuno disse... 1) per un calcolo della superficie e della capienza, il limite preso di misura è un numero di 4 persone/mq, 2) Piazza del Popolo ha una metratura di di 17.100 mq con una capienza massima e teorica di 68.400 ; 3) Piazza san Giovanni ha una superficie di 39.100 mq, con una capienza totale, quindi, di 156.000 persone. Direi che è arrivato il momento di non dare più i numeri... Marco B. MANIFESTARE A ROMA, QUANDO I PARTITI DANNO I 'NUMERI' - La fisica, con il principio della impenetrabilità dei solidi, insegna che due oggetti non possono occupare lo stesso spazio. Eppure c'é chi ritiene che questo classico teorema non si applichi alle persone, soprattutto se convocate in un determinato luogo ad esprimere pubblicamente la loro opinione politica. Fuor di metafora: quando si tratta di conteggiare i partecipanti alle manifestazioni, i partiti "danno i numeri"
Bruxelles, come è noto, è sede delle più importanti istituzioni dell'Unione Europea. Una città affascinante, particolare, simbolo dell'alta borghesia, dove architettura moderna e tradizionale cercano, con poco successo, di convivere. L'Unione Europea rivendica spesso principi che ruotano intorno alla dignità delle persone, no alla donna oggetto, penso per esempio alla Risoluzione sulla discriminazione della donna nella pubblicità del 1997 al cui punto 10 si scriveva testualmente che il Parlamento europeo invita il settore della pubblicità a rinunciare in concreto e interamente a sminuire la donna a oggetto sessuale dell'uomo attraverso espedienti tecnici e raffigurazioni immaginose come il ridurre il ruolo femminile alla bellezza fisica e alla disponibilità sessuale . Certo, comprensibile. Ma a pochi minuti dal Parlamento europeo esiste un vero e proprio quartiere a luci rosse. Esistono anche agenzie di escort, club privati-scambisti, e donne in vetr
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