La Repubblica italiana è stata
caratterizzata, e lo è ancora oggi, da diversi nazionalismi, siano
essi riconducibili all'Italia unita, siano essi specificatamente territoriali.
Lo Stato si è armato per
difendere la sua unità territoriale, come normata dall'articolo 5
della Costituzione, con diverse leggi repressive. La più rilevante è
certamente quella definita dall'articolo 241 del Codice Penale che
nella nuova formulazione, scritta ad hoc per salvare la Lega Nord
anche processi che vedevano imputati alcuni suoi militanti in seguito
all'iniziativa della Procura della Repubblica di Verona del 18
settembre 1996, ed afferma che salvo che il fatto
costituisca più grave reato, chiunque compie atti violenti diretti e
idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso
alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare
l'indipendenza o l'unità dello Stato, è punito con la reclusione
non inferiore a dodici anni. La
pena è aggravata se il fatto è commesso con violazione dei doveri
inerenti l'esercizio di funzioni pubbliche.
Questo
articolo è stato così sostituito dall'art. 1 L. 24.02.2006, n. 85,
con decorrenza dal 28.03.2006. Dunque
le iniziative politiche che vogliono l'indipendenza e non l'autonomia
di diverse zone territoriali sono state diverse ed essenzialmente di
destra. Nazionalismi minori, che sfruttano l'idea dell'identità
territoriale, per altri fini e questi fini sono e non possono essere
che di carattere economico. D'altronde le famigerate crociate e
guerre di religione ben hanno insegnato come la religione sia stata
un buon strumento di persuasione per conseguire obiettivi chiari,
conquista di terre ricche di risorse, colonizzare ed imporre il
proprio dominio con la violenza dell'occupazione militare mascherata
dallo scudo della religione. La
Lega nord ha vissuto un grande declino. E' passata dalla nazione
padana alla macroregione proponendo anche la modifica della
costituzione vigente.
Dalla
macroregioni poi si passa ai microterritori.
Ed
ovviamente l'attenzione cade sul Territorio Libero di Trieste.
E'
importante evidenziare che tra i sostenitori del territorio libero di
Trieste vi sia anche Alba
Dorata
italiana, nota forza di estrema destra, la quale in un post
nel suo sito
scrive, riportando come foto la carta d'identità del territorio
libero di Trieste, che “il
TLT( territorio libero di Trieste) è la base e l'esempio del nuovo
stato confederale dei popoli italiani. Il TLT fu nel 1976 cancellato
da un accordo bilaterale tra i comunisti di Tito ed i massoni
democristiani italiani col beneplacito della comunità internazionale
pervasa dallo spettro della guerra fredda. Gli Stati nati dalla
disgregazione della Yugoslavia hanno reiterato il trattato in maniera
illegittima sempre con i massoni italiani. Alba Dorata rinnega il
trattato di Osimo e pretende la ricostituzione del T.L.T. come
Cantone della nuova Repubblica confederale italiana (...)”.

Ma
anche la Lega
Nord
sosteneva la necessità di realizzare il Territorio Libero di
Trieste. Per esempio nel maggio
del 1996
si diffidava l'autorità portuale di Trieste chiedendo alla stessa di "riconoscersi non legittimata" e di "mettere
a disposizione del costituendo porto franco internazionale di Trieste
quanto abusivamente detiene in opere e arredi portuali",
ovviamente il tutto richiamando il Trattato di Parigi del 1947.
Iniziative similari verranno intraprese poi dal Movimento Trieste
Libera che dal 2011 è cresciuto in modo esponenziale in città.
Tra
legittimisti
che rivendicano il credo Monarchico Tradizionalista, Cattolico
Tradizionalista, tramite la protezione del sacro cuore di Gesù per
conseguire la Restaurazione Sociale e Politica, tra
indipendentisti,tra leghisti che si sono riciclati in movimenti
microterritoriali,tra forze di estrema destra che difendono l'italianità sia in larga misura che in minor misura, tra l'evitare di affrontare tematiche che
riguardano diritti civili ed etici che ovviamente definiranno i
distinguo, in tempo di crisi queste realtà, apparentemente
trasversali, non possono che ottenere consenso da parte di una
popolazione sempre più ai ferri corti con il sistema Italia ed
Europa. Chiudersi in un recinto più piccolo è comodo e si facilita
un maggior controllo, si conferisce maggiore sicurezza e senso di
protezione, ma ciò sarà solo una grande illusione. Il
punto è proprio questo, l'Italia e l'Europa necessitano non di una
riforma, ma di una trasformazione radicale e sociale nel nome
dell'uguaglianza della solidarietà sociale e per l'integrazione e
per l'abbattimento di ogni confine.
Deve
essere annotato che comunque, come accaduto per il Movimento cinque
stelle, in queste realtà spesso aderiscono soggettività ed
individualità di sinistra per diversi motivi, alcuni li possiamo
definire strategici, ovvero per evitare che il tutto cada
inesorabilmente nel più beffardo nazionalismo destroide,ma tale
impresa è degna del miglior Ercole, oppure perché traditi dai
propri storici punti politici di riferimento, perché ripartire da
zero alletta, perché alla fine non vi è nulla da perdere, perché
il populismo identitario, con le sue parole d'ordine che accontentano
tutti, lavoro, meno tasse e protezione sociale, che ben possono essere
sia di destra che di sinistra, corrisponde al minimo comune
denominatore del benessere individuale. I diritti civili, i temi
etici, non sono una priorità, per questi vi è sempre tempo, ed
infatti se nel 2013 in Italia esistono persone che vengono istigate
al suicidio perché omosessuali è proprio per tali ragionamenti,
perché la priorità è lo sfruttamento consapevole per sopravvivere.
In tutto ciò qualcuno
ci cova.
Da un lato hai una parte del capitalismo italiano che non aspetta altro che speculare sulla città, dall'altro
una parte del capitalismo austriaco o tedesco per esempio od alcune multinazionali
che hanno interesse a trasformare Trieste in una colonia da sfruttare
o semplicemente in un protettorato. Non che le cose oggi siano
positive per Trieste, anzi l'immobilismo sussistente
trasformandola in una perenne bella addormentata da svegliare bruscamente, legittima la voglia
di andare oltre anche rispolverando trattati e burocrazia superata
dalla storia vigente e dall'acquiescenza della situazione esistente,
e ciò non deve creare stupore.
Però
si chiede 100 per conseguire 51 e questo 51 è una disciplina del
porto franco di Trieste che sia funzionale a determinate logiche.
Il
porto vecchio di Trieste è oggetto di grandi battaglie, tra chi lo
vuole parte integrante della città per edificare e chi vuole
semplicemente il porto ma sotto il controllo indiretto dell'Onu.
Magari
tra i due estremi si troverà la via della concordia, una soluzione
conciliante tra le parti ed ognuno rivendicherà vittoria, ma sarà
da capire se sarà vittoria anche per Trieste.
Ad
oggi non lo è, ed il porto vecchio è semplicemente un grande
contenitore di illusioni e tristezze degrado.
Però
è anche vero che qualche realtà opera con successo al Punto Franco.
E' il caso di
segnalare che l'Autorità Portuale di Trieste ha reso noto che nei
primi sei mesi del 2013 gli approdi al Punto Franco oli minerali
hanno registrato un record con l'attracco di 244 navi ai pontili
della S.I.O.T. (Società Italiana Oleodotto Transalpino), l'azienda
del gruppo TAL che gestisce il terminal marittimo e il tratto
italiano dell'oleodotto transalpino, rispetto a 171 approdi nel primo
semestre dello scorso anno, con un incremento del +42,6%. Il greggio
sbarcato nella prima metà del 2013 è stato pari a 20.003.665
tonnellate contro le 15.030.136 tonnellate del primo semestre del
2012 (+33% ). Il Gruppo TAL gestisce l’Oleodotto Transalpino che
collega il Porto di Trieste con il centro Europa, trasportando in
modo sostenibile il petrolio greggio alle raffinerie di Austria,
Germania e Repubblica Ceca al fine di provvedere al
fabbisogno energetico di questi paesi.
I
suoi azionisti sono alcune delle majors del settore petrolifero a
livello mondiale: OMV, Shell, Ruhr Oel, ENI, C-BLUE LIMITED (Gunvor),
BP, Exxon Mobil, Mero, Phillips 66/Jet Tankstellen e Total.Il ruolo
che da quarantacinque anni il Gruppo TAL svolge
nell’approvvigionamento energetico è di primaria importanza per
l’economia europea: il petrolio che viene trasportato
nell’oleodotto ricopre infatti il 40 % del fabbisogno petrolifero
della Germania (il 100% della Baviera edel Baden-Württemberg), il 90
% dell’Austria e oltre il 30% della Repubblica Ceca.
Dunque
si sfrutta il porto di Trieste ed il suo territorio per rifornire di
energia Paesi terzi. Normale processo di globalizzazione economica. Peccato
che il paesaggio ha subito evidenti violenze per realizzare ciò che
è stato realizzato.

Il
problema però non è chi edifica ma chi autorizza certe
edificazioni, ovviamente ognuno esercita il proprio mestiere.
Dunque
il capitalismo dell'Austria, per esempio o le multinazionali anche lì
operanti, avrebbero una infinità di interessi per intervenire sul
porto di Trieste ma prevalentemente per l'esercizio dell'attività portuale, così come quello italiano ma per fini non portuali, magari invocando in via nostalgica il passato,
oppure invocando ciò che è stato semplicemente superato dalla
storia, come scudo e maschera per conseguire semplicemente profitto
ai danni di Trieste e magari sostenere anche economicamente certe realtà politiche e sociali.
Ed allora ecco che lo scudo dell'italianità si scontra con quello dell'essere territorio libero.
Trieste
è una città che merita rispetto e dignità, lavoro, ambiente,
diritti ed etica e democrazia partecipata devono correre in armonia,
senza concorrere, tutti sulla stessa strada, nel nome del buon senso.
E
buon senso vuole la trasformazione dell'esistente e non la
realizzazione di protettorati a vantaggio di pochi ed a danno della
collettività, e la fine di ogni speculazione.
Ma nel capitalismo quanto è possibile il buon senso?
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