La celebrazione del fascismo della passeggiata di Ronchi di D'Annunzio e l'occupazione di Fiume

Immagine
Mio caro compagno, Il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Riassumete l'articolo !! che pubblicherà la Gazzetta del Popolo e date intera la fine . E sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio Non sarà stato forse un fascista dichiarato, D'Annunzio, certo è che non fu mai antifascista, era lui che aspirava a diventare il duce d'Italia e la prima cosa che fece, all'atto della partenza da Ronchi per andare ad occupare Fiume, fu quella di scrivere a Mussolini, per ottenere il suo sostegno. Perchè D'Annunzio ne aveva bisogno. Il fascismo fu grato a D'Annunzio, per il suo operato,  tanto che si adoperò anche per il restauro e la sistemazione della casa dove nacque D'Annunzio e morì la madre. E alla notizia della morte, avvenuta il 1 marzo del 193

Siamo tutti bengalesi?



Sempre più precari, sempre più flessibili, sempre più schiavi all'interno di un mondo del lavoro succube delle regole del mercato. Piazza Pulita ha dedicato uno spazio alla problematica che ha riguardato una zona della Campania dove i bengalesi lavorano per due euro all'ora, 3,50/4 quando va bene, per 12 ore al giorno. Distretti tessili campani, operai bengalesi. Il caporale è del Bangladesh, ma ovviamente è fondamentale l'appoggio della gente del posto. Arrivano come stagionali, e poi prigionieri nella clandestinità diventano schiavi nel tessile. Tutti sanno, nessuno agisce, salvo lamentarsi per le solite questioni, con tante sfumature di razzismo, che uniscono il Sud a Monfalcone, in merito al sentimento di disprezzo che si manifesta nei confronti di costoro. Se sono arrivati in Italia è perchè qualcuno ha favorito il loro arrivo, per ragioni non di umanità, ma di profitto economico, e sicuramente i lavoratori bengalesi sono le prime vittime di un sistema, che attraverso quello che è stato definito come "metodo bangla", più rapidamente del previsto travolge anche gli italiani, o gli "autoctoni" come piace dire a qualcuno che deve cercare sempre il pelo nell'uovo.  
Non è una questione di guerra tra poveri, ma una questione di ghettizzazione sociale, e la scala degli ultimi è sempre più profonda. Certamente vi sono state complicità enormi anche da parte di alcune realtà sindacali e politiche ben note. Non so dire se siamo tutti bengalesi. Perchè non proveniamo da zone economicamente disastrate e disposti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro pur di sopravvivere. Ma ci stiamo avvicinando a ciò ed i primi segnali si registrano proprio nelle zone più estreme e disagiate, nel Sud e nelle zone di confine, travolte dalla crisi economica e che hanno sempre vissuto grazie all'assistenzialismo italiano. Non siamo tutti bengalesi, ma per evitare di diventarlo, si deve fare in modo che insieme ai bengalesi si possa affermare un processo di unione e condivisione di coscienza e diritti. Se non ci sarà più nessuno disposto ad accettare a lavorare in certe condizioni, se i diritti saranno uguali per tutti, non al ribasso, si vivrà tutti meglio, il sistema padronale ci perderà qualcosa, ma la società potrà essere più giusta. Se invece si continua a perdersi nella divisione, nell'odio, con il dogma nazionalista e razzista del prima gli e poi nessuno, ebbene sarà proprio questo precetto, nelle condizioni economiche come sussistenti, a farci diventare tutti bengalesi.

Marco Barone

Commenti

Post popolari in questo blog

Una storia per bambini della scuola primaria nella giornata Mondiale della Gentilezza

Come calcolare capienza di una piazza durante manifestazione?

Bruxelles e le vetrine hot