Il mondo gattopardiano dopo il coronavirus

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C'è stato un tempo sconvolgente che sembrava non finire più. Sembrava che il mondo perduto non sarebbe più potuto tornare. Sembrava tutto. E invece, non è cambiato niente. Dopo settimane di bombardamenti mediatici ai limiti del terrorismo psicologico su come ci si dovesse comportare per evitare di essere contagiati dal cornoavirus e non incorrere nella covid19, sembraba impensabile pensare che il post coronavirus, potesse essere come il prima. Nulla sarà come prima, si diceva. Ci sarà un prima coronavirus, un dopo coronavirus. Si ripeteva.  La stretta di mano sembrava essere destinata all'estinzione, gli abbracci, essere ridotti al minimo, il baciarsi sulla guancia, due, tre volte, all'italiana, a rischio estinzione come i dinosauri, e che dire della distanza di sicurezza sociale di almeno un metro? Si temeva che questo potesse essere il modo tipico delle relazioni "aosciali".  Si pensava che potesse derivarne l'Italia dei balconi di D'Annunzio e Mussol...

Ma come è giusto chiamare le città dei vari Paesi? Nella loro lingua o nella propria lingua?


Roma deve essere Roma oppure può essere anche Rome? Oppure  Rom ?
Berlin è giusto chiamarla Berlino? E Paris è giusto chiamarla Parigi? Marseille, Marsiglia? E Napoli perchè deve diventare Naples? E Venezia diventa Venice o Venise o Venedig ?  
Anche perchè tale questione riguarda poi i nomi delle città più importanti. Perchè difficilmente città minori saranno caratterizzate da questi processi di adattamento linguistico. Il punto è, per rispetto della storia e delle identità dei luoghi,  se questi luoghi vanno chiamati nella loro lingua "madre", facendo salve le identità delle varie minoranze linguistiche tutelate dalla legge, oppure è giusto l'uso e costume di quella globalizzazione che ne storpia il nome per ragioni di convenienza e praticità e per marchiare con la propria lingua la lingua altrui? 

Marco Barone

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