Via Sant'Ambrogio una via alla ricerca della sua identità

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Un tempo via del Duomo, o del Teatro, oggi via Sant'Ambrogio che porta lo stesso nome del duomo consacrato dopo i disastri della prima guerra mondiale nell'ottobre del 1929, pur senza il campanile che dovette attendere la fine degli anni '50 per essere battezzato. Una via che nel corso della sua storia è sempre stata da transito di merce e persone e che è diventata negli ultimi tempi il teatro dello scontro identitario di una Monfalcone alla ricerca del proprio equilibrio sociale. Perchè è evidente che a Monfalcone, terra di passaggio, da quando è diventata grazie ai Cosulich città dei cantieri, per questo contesa dal regno d'Italia all'Austria, per privarla dei suoi cantieri insieme al porto triestino, ha conosciuto quelle dinamiche proprie delle città portuali. Gente che viene, gente che va. Approdo e partenza di nuove identità. Dal Sud Italia, all'Asia, passando da quel centinaio di nazionalità che a Monfalcone stanno cercando il proprio equilibrio, ognuna ne

Quella sera che sconvolse per l'ennesima volta il Friuli


La nostra regione ha conosciuto i peggiori drammi. E' stata in prima linea nella grande guerra, nella seconda guerra mondiale, ha conosciuto la tragedia del Vajont e poi la catastrofe del terremoto del 1976. Tutti ancora oggi si domandano come è stato possibile che il Friuli si sia ripreso, ed in fretta. Vi sono tante concause e vanno analizzate anche le questioni storiche e culturali. Come detto questa terra si era già addestrata alle peggiori cose, e dalle peggiori cose si è ripresa, ha saputo ricostruire, ha saputo ripartire. Sempre. Ma anche l'aspetto culturale, il senso del dovere civico ereditato da secoli di dominio austro-ungarico, è stato fondamentale. Cosa incomprensibile a chi viene da fuori regione o che non conosce la storia di questa complessa terra.
Cosa incomprensibile nell'Italia di oggi, un Paese che ha portato, oltre a tante cose positive, ahimè anche un sistema disonesto, di corruzione, di burocrazia, di zero senso di dovere civico, compromettendo l'essere comunità. Dove l'interesse particolare prevale sempre su quello generale e da questo principio trae fondamento la "cultura" mafiosa. Forse l'unico caso che si può paragonare al senso di dovere civico e di comunità alla risposta data dal popolo friulano al terremoto, è quanto accaduto con l'alluvione di Firenze. Ma fino ad un certo punto. Perché Firenze era come la Parigi di oggi. Città nel cuore di tutti, e l'emotività internazionale è stata diversa. Non si spiega altrimenti il perché nel resto del Bel Paese terremotato solo il Friuli è l'unica terra che ha saputo reagire in quel modo. Fatica, e dignità e senso di comunità. I numeri che sono stati forniti parlano da soli: 75 mila edifici distrutti e poco più di 74 mila riparati entro dieci anni. “prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese'  E così è stato. Grandi lavoratori, i friulani. Quel maledetto terremoto ha cambiato e stravolto la vita di tante persone. Anche nell'Isontino molti ricordano due cose in particolare, “faceva caldo” e poi lo spavento e l'incredulità per il terremoto. Tutti hanno immortalato nella propria mente quel giorno e quelli che seguiranno sino alle altre scosse che verranno. Tutti si ricordano  con una lucidità incredibile cosa stavano facendo in quel preciso istante e tutti si ricordano che faceva caldo. E' stato uno shock tremendo, violento, che ha fermato la memoria per sempre, ma che non ha fermato la nostra regione. Friuli, terra della resistenza, che invece di perdersi in lamentazioni e piagnistei ha dato una grande lezione di civiltà all'Italia. 

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