C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Videocracy, la censura Chi in Rai ha detto no al trailer ha ammesso che in Italia...

La La visione di Videocracy, il film di Erik Gandini che sarà presentato al festival di Venezia, è sconvolgente perché tutto ciò che dice, tutto ciò che fa vedere è già ben conosciuto dagli italiani. Potrà stupire (o indignare, o inorridire, o far ridere) gli stranieri, ma gli italiani no: è la loro (la nostra) vita, la loro (la nostra) storia. Certo, fa impressione sentir cantare l'inno "Meno male che Silvio c'è". E vedere il telefonino di Lele Mora che suona "Faccetta nera" con video di svastiche e croci celtiche. Il resto lo conosciamo bene, lo abbiamo visto. Ma proprio per questo è sconvolgente: poiché siamo dentro questa storia, non ci stupisce più, non c'indigna, non ci sconvolge. Ci vuole un video made in Sweden per risvegliarci dall'incanto, per farci tornare a vedere in che situazione viviamo. E meno male che ci sono gli uomini della Rai e di Mediaset a mettere nero su bianco la verità: sì, le motivazioni con cui i dirigenti della tv pubblica e privata hanno rifiutato il trailer di Videocracy sono da scolpire sulla pietra. Mediaset boccia il trailer sostenendo che è un attacco alla tv commerciale.

La Rai fa di più. Per la Rai il trailer è da censurare perché è un «inequivocabile messaggio politico di critica al governo», dato che alterna immagini del film con dati statistici tipo «l'Italia è al 67mo posto nelle pari opportunità». Oppure: «l'80 per cento degli italiani utilizza la tv come principale fonte di informazione». È da censurare perché collega «la titolarità del capo del governo alla principale società radiotelevisiva privata» e dunque ripropone - pensate un po'! - la questione del conflitto di interessi. È da censurare perché il film potrebbe far pensare che «attraverso la tv il governo potrebbe orientare subliminalmente le convinzioni dei cittadini influenzandole a proprio favore ed assicurandosene il consenso». È da censurare infine anche perché non accenna al caso Noemi e alle escort (per forza, il film è stato finito prima che scoppiasse lo scandalo), ma mostra programmi «caratterizzati da immagini di donne prive di abiti e dal contenuto latamente voyeuristico delle medesime» e dunque «determina un inequivocabile richiamo alle problematiche attualmente all'ordine del giorno riguardo alle attitudini morali» di Berlusconi «e al suo rapporto con il sesso femminile, formulando illazioni sul fatto che tali caratteristiche personali sarebbero emerse già in passato nel corso dell'attività di imprenditore televisivo». Non è straordinario? Il solerte funzionario Rai, più realista del suo re, imputa al film di essere profetico e di far pensar male agli spettatori. Certo che, mentre il tempo passa, la situazione peggiora: un tempo il regime censurava i film e i programmi (dal "Caimano" a "Viva Zapatero"). Oggi non sopporta neppure i trailer. (29 agosto 2009) da: http://www.societacivile.it/blog/index.html

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