Il Commissario Calabresi ucciso per le indagini sul NASCO di Aurisina, altro che "lotta continua"

La realtà viene sbattuta in faccia, e poi, le manipolazioni storiche determinate dal sistema, contribuiscono a costruire il puzzle delle verità di comodo alle quali ancorare il dogma di Stato. L'uccisione del Commissario Calabresi, dal punto di vista processuale, è imputata alla "vendetta politica" per la morte dell'anarchico Pinelli. L'incastro perfetto con i colpevoli perfetti. Se non fosse che l'omicidio del Commissario avvenne solo due giorni dopo la sua presenza a Trieste. Su ciò già alcuni storici e critici hanno sostenuto la tesi che qui si ribadisce, ovvero che il Commissario non è stato ucciso per la vicenda Pinelli, quella fu la copertura perfetta, in un contesto storico dove i depistaggi erano la normalità, Peteano docet. Calabresi venne ucciso perchè mise il naso dove non doveva ficcarlo. Sul Nasco di Aurisina e ciò che vi poteva essere collegato, a partire dalla rete GLADIO  di cui ancora non si sapeva l'esistenza.  Come ricorda un noto articolo del Piccolo del 2012  il Nasco 203, era uno dei depositi creati per Gladio, il segmento italiano della Stay behind, "ma era stato manomesso e utilizzato da formazioni ancora più occulte, presumibilmente i Nuclei difesa dello Stato e ad esso avevano accesso neofascisti italiani e ustascia croati protetti da ufficiali golpisti, servizi deviati e in ultimi analisi forse dallo stesso Ufficio affari riservati del Ministero dell’Interno. Proprio plastico jugoslavo fu quello usato sia nella strage di piazza Fontana che in quella di piazza della Loggia a Brescia. «Mio padre tornò turbato da quella visita - ha raccontato recentemente il figlio di Calabresi, Mario,  e raccontò a mia madre di aver veduto depositi di armi accantonati in grotte o cave. Il viaggio era stato organizzato dai carabinieri e avevano utilizzato anche un elicottero. Mio padre disse di essere preoccupato che quelle armi potessero essere legate a ambienti di destra». A Trieste, ricorda il Piccolo, Calabresi arriva accompagnato da Giuseppe Caron, senatore Dc, e dallo stesso questore di Milano, Marcello Guida che qui era vissuto in precedenza per alcuni anni. Secondo la fonte dei servizi “Dario”, a Trieste i tre conferiscono con il Conte Pietro Loredan detto il Conte rosso, ex partigiano infiltrato nell’Anpi e nel Pci perché in realtà fascista e segretamente legato a Ordine nuovo. Il commissario avrebbe scoperto un traffico di armi che partendo dai circoli neonazisti di Monaco di Baviera (ma il film lo ritrae anche in una “missione” a Basilea) è diretto ai fascisti italiani e agli ustascia croati passando per centri di smistamento nella zona di Trieste. 

Insomma, la realtà è questa. E Calabresi andava fermato, subito. E così è stato. Gli atti  della COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUL TERRORISMO IN ITALIA E SULLE CAUSE DELLA MANCATA INDIVIDUAZIONE DEI RESPONSABILI DELLE STRAGI del 9 luglio 1991 evidenziano che il  24 febbraio 1972 i carabinieri di Aurisina trovarono, nel corso di un servizio di rastrellamento, in una piccola grotta naturale sita in località «stazione ferroviaria-bivio di Aurisina», materiale di armamento e esplosivi. Ma come la storia ha ben tramandato quel deposito era noto presumibilmente già dall'estate.  Il materiale era contenuto in tre scatoloni metallici «ermeticamente chiusi» e in due contenitori catramati. L'elenco fornito dai carabinieri fu questo: 15 kg. di esplosivo plastico suddiviso in 24 pacchi; 5 kg. di cariche esplosive di dinamite; 200 metri di miccia detonante; 80 detonatori; 90 matite esplosive a tempo; 20 accenditori a pressione; 20 accendimicce di strappo; 50 trappole esplosive; una pistola automatica spagnola Star con 50 cartucce; una pistola americana Histendard; cai. 22 con silenziatore e 50 proiettili; numeroso altro materiale esplosivo; 6 granate incendiarie. Fu avvertita l'autorità giudiziaria e il materiale fu affidato al Nucleo rastrellatori civili di Trieste. Il quotidiano // Tempo, nel suo numero del 25 febbraio 1972 (il giorno successivo al ritrovamento) pubblicò la notizia, con l'elenco del materiale rinvenuto. L'elenco del giornale era  leggermente diverso da quello dei carabinieri: ad esempio si dice che i 200 metri di miccia detonante erano «alla pantrite», particolare che non figurava nel verbale dei carabinieri. Il SID apprese dall'articolo del Tempo del ritrovamento e si rese conto che il materiale rinvenuto dai carabinieri era suo e proveniva dal Nasco n. 203 per «sabotatori» formato da sette contenitori. La sua preoccupazione fu quella di evitare che il materiale rinvenuto potesse essere collegato al servizio.

mb


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