La marcia di occupazione di Fiume, partita casualmente da Ronchi, paese sconosciuto ai più in quel tempo, tanto che alcuni granatieri si chiedevano dove si trovasse, è stato un chiaro atto nazionalistico con un chiaro intento. Prendersi Fiume e annetterla all'Italia. Poi, che lì in parte ci sia stato un bordello a cielo aperto, o esperienze trasgressive, sono solo sterili contorni, rispetto al vero corpus e animus di quella pagliacciata narcisistica per usare Pasolini. Oppure,
per ricorrere a Montanelli,“non un fasto, ma un nefasto nazionale e una delle più buffonesche
italianate della nostra Storia.” Evidenziando anche che “D’Annunzio sollecitò
l’aiuto di Mussolini proponendogli una marcia su Roma e Mussolini
rispose ch’era pronto a farla, ma non prima di un anno”. Ha prevalso il carattere militarista e nazionalistico, la quasi totalità della simbologia inventata e alcune pratiche adottate a Fiume, dalle camicie nere, ai saluti, ai discorsi dal balcone, all'olio di ricino che tanto simbologia non era, all'antislavismo, verranno recepite dal fascismo ponendosi in continuità con lo stesso. Ad esempio l'articolo 2 del Regio Decreto n. 273 del 31 gennaio 1926, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n. 49 del 1º marzo 1926 dispose che "gli ufficiali della Milizia volontaria per la sicurezza possono fare uso anche della medaglia commemorativa della spedizione di Fiume e della marcia su Roma." E sarà sotto il fascismo che verrà annessa Fiume all'Italia. Quella marcia ne minò profondamente l'autonomia e segnò l'inizio del declino di Fiume. Doveva essere italiana quella zona per fermare l'ondata "barbarica""slava" come in sostanza diceva il D'Annunzio che rischiava di arrivare su Trieste e Gorizia.
A settentrione di Fiume, essi debbono includere Idria, affinché la torbida Balcania non prema le spalle di Gorizia e di Tolmino.
come Idria, Postumia aspetta a noi. Se non la tenessimo, il flutto della gente balcanica, il flutto della barbarie schiava, giungerebbe a una ventina di chilometri dalle mura di Trieste.
Avevamo
ripreso le armi dopo l’armistizio ingiusto. Solo col fiore dei
combattenti, avevo cacciato dalla città del Carnaro la ladrerìa dei
Serbi e l’insolenza degli Alleati
Nel testo, l'alta disciplina, del 22 settembre 1919, scrisse che Fiume la "liberammo dalla minaccia d’esser consegnata ai Croati, come la vittima ai carnefici."Se D'Annunzio non fu fascista, non fu certamente antifascista, è
innegabile il suo essere profondamente interventista e nazionalista, per
diventarne il simbolo intoccabile in Italia, che è ciò che si vuole
celebrare, come sussistente è il suo sentimento antislavo in chiave
nazionalistica.
Poi uno ci può raccontare quello che vuole, può mistificarla come vuole, narrarla come vuole, ma Fiume altro non era che questo. Una conquista nazionalistica che si pose in continuità, come una sorte di ponte,tra la grande guerra e il ventennio fascista. Quello che ci si chiede, visto che ora c'è questa esplosione nel Paese per la passione del nazionalismo dannunziano,a quando la rivendicazione di Fiume? Magari per sbattere il tricolore italiano in faccia ai croati, no?
Così D'Annunzio in Italia e vita del 24 ottobre 1919:
Già cinque giorni dopo, il 29 di ottobre, quando il bollettino austriaco millantava la resistenza eroica dell’esercito sul Tagliamento a rendere «vani tutti gli sforzi dell’avversario», quando il pericolo era tuttavia imminente e ancor possibile la vendetta, voi spiegaste nel vento del Carnaro il tricolore italiano, in faccia ai Croati che dal governatore ungaro avevano ricevuto il potere civico per inizio di quella frode più tardi proseguita sopra le navi imperiali in Pola nostra.
mb
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