La salvaguardia del verde sia la principale opera pubblica

Per ogni albero tagliato, uno nuovo deve essere piantato! Questo è il principio che fin dall'800 ispira la politica del rimboschimento in Svezia e ben due terzi del Paese sono coperti da foreste. Il FVG è una regione meravigliosa, però in sofferenza anche a causa delle problematiche dovute ad un clima sempre più caldo. Cambiamenti climatici o meno una certezza c’è, i nostri Comuni devono dare la priorità alla cura del verde. Sia questa la principale opera pubblica da sostenere. Mettere da parte altre opere, che al momento sono da considerarsi come secondarie e investire nel verde. A partire da Ronchi che da decenni se la passa male e dove sembra più di attraversare un cimitero di tronchi che un parco urbano in evidente sofferenza. Ronchi ha le potenzialità per divenire un giardino pubblico in stile inglese, ma ad oggi siamo solo nel mondo dei sogni. Servono interventi propositivi e non polemiche o strumentali. Ciò che è stato è stato, serve una visione e una volontà che sia final...

Scuola chiusa per carenza di bambini italiani. E' a questo che si arriverà?


Allora mettiamola così. Monfalcone, cittadina del nord est,  sconosciuta ai più oltre Cervignano, balzata negli ultimi anni agli onori della cronaca nazionale, e forse anche internazionale, sicuramente in Bangladesh, perchè diventata, suo malgrado, laboratorio politico di situazioni non certamente meravigliose che interessano principalmente i bengalesi, una delle comunità più rilevanti della città. Una città che vede le proprie sorti, di fasti, o di sorti nefaste, essere determinate dall'essere la città dei cantieri, nel senso che appartiene effettivamente ai cantieri navali, alla Fincantieri. Una città che non è mai riuscita ad imboccare una propria via indipendente ed autonoma. A staccare il proprio cordone ombelicale da quel sistema produttivo, che ne determina vita e morte e miracoli. D'altronde senza i cantieri navali Monfalcone non avrebbe probabilmente ragione di esistere. Da circa vent'anni la principale manovalanza ai cantieri di Monfalcone è "straniera" o per appalto e subappalto, i diretti son sempre meno. E ciò ha condizionato la fisionomia della città in una regione dove il calo demografico è catastrofico e tra 40anni destinata a scendere sotto il milione di abitanti in un Pianeta, il nostro, complessivamente sovrappopolato visto che siamo oltre 7 miliardi di persone. Siccome gli autoctoni son sempre meno, in una città profondamente "terronizzata" perchè di "terroni" o "cabibi" come si dice qui come il sottoscritto, siamo una marea, e non siamo certamente autoctoni anche se alcuni credono di esserlo, ma si può credere a tante favolette nella vita, la scriminante è italofono o non italofono.

Il dilemma amletico monfalconese è questo. 

E visto che le quote di bambini stranieri possono essere superiori rispetto a quelle degli italofoni, ben ricordando che l'italiano si impara da piccoli soprattutto nella scuola dell'infanzia, allora che si fa? Diamo i numeri. 45,35,30. No. Non da giocare al lotto. Poi se qualcuno vuole, magari sulla ruota di Venezia, faccia pure. Ma si tratta di percentuale, di fantomatici tetti, di una specie di quote latte ma adattate alla scuola e poi bon. Chi c'è, c'è, chi non c'è in questa percentuale può sempre andare di là, di là c'è sempre posto. Fino a quando poi non si ripropone la stessa situazione. Perchè accadrà. Fatto 30 perchè non fare 31?  Sorvolando sulla questione normativa, che va affrontata nelle dovute sedi, ponendo la questione solo dal punto di vista di buon senso nel contesto sociale attuale, non quello di vent'anni fa che non esiste più, che cazzarola si fa se i bambini italofoni a cui si deve dare la priorità in materia di iscrizione a detta di accordi incredibili, non saranno sufficienti per fare una classe "equilibrata"? E poi sul concetto di equilibrio apriti cielo. Per mantenere in vita una scuola? Si può sempre mettere un semplice avviso con scritto, scuola chiusa per carenza di bambini italiani. Semplice, no? Facciamo prima.

Marco Barone 

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