C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Centenario fine grande guerra. Occasione storica mancata non aver visitato il cimitero austroungarico di Redipuglia ma solo il Sacrario


Se i migliaia di morti, uccisi in una guerra atroce, ospitati nel monumentale Sacrario di Redipuglia voluto dal fascismo ed inaugurato nel '38 in concomitanza con l'infamia della proclamazione delle leggi razziali a Trieste, non hanno alcuna data dell'avvenuta morte visibile, discorso diverso nel vicino cimitero austroungarico che ospita migliaia di caduti nella grande guerra. Alcuni sono morti proprio tra il 3 e 4 novembre del 1918, quando qui verrà sancita la fine della guerra.
Territorio appartenente all'Austria, aggredito dall'Italia. Se prima dello scoppio della guerra, dovuta anche alla responsabilità dell'Impero Austro Ungarico che per punire la mano serba che determinò il famoso attentato di Sarajevo, massacrò un popolo intero, l'Italia non fu certamente da meno. Avrebbe potuto evitarla quella guerra, mantenendo uno stato anche di neutralità. Ma non lo fece. Non lo fece, condannano a morte migliaia di soldati. Perchè essere soldati in quel tempo significava già essere condannati ad una morte altamente probabile e brutale in quella carneficina. Nel 2014 presso il cimitero di Redipuglia si soffermò anche il Papa, per un momento di preghiera.
Avrebbe dovuto fare la stessa cosa il Presidente della Repubblica in occasione del centenario della fine di questa grande carneficina.

Eppure le parole del Presidente della Repubblica nella cerimonia di Trieste sono state anche di un certo peso. Quando ha evidenziato che "Lo scoppio della guerra nel 1914 sancì in misura fallimentare, l’incapacità delle classi dirigenti europee dell’epoca di comporre le aspirazioni e gli interessi nazionali in modo pacifico e collaborativo, anziché cedere - come invece avvenne - alle lusinghe di un nazionalismo aggressivo che si traduceva nella volontà di potenza, nei cosiddetti sacri egoismi e nella retorica espansionistica.". O quando ha riconosciuto "gli errori, gravi ed evitabili, delle classi dirigenti del secondo decennio del Novecento, e una conduzione della guerra dura e spietata degli Alti Comandi".
Questa mancata visita, che vista la storia di questo territorio, sarebbe stata dovuta, è stata una grande occasione storica persa.

Marco Barone 

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