Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Monfalcone è al suo punto di non ritorno?


28 mila anime sono residenti a Monfalcone e quasi 8 mila di nazionalità straniera. Un contenitore con decine di nazionalità diverse che non si guardano neanche in faccia. Forse al bar intorno ad un bicchiere di birra si riesce a condividere qualche momento di comunanza, ma nulla di più.  Ognuno per conto suo. A Monfalcone per capire lo stato delle cose basta vedere dove il dibattito ultimamente è incentrato, ovvero sull'incredibile rifacimento della centralissima piazza della Repubblica. Dopo neanche vent'anni si spendono alcuni milioni di euro per soddisfare i gusti, discutibili tra l'altro, del momento. Il dibattito è incentrato se ricollocare un lampione che ricorda i cent'anni monfalconesi sotto l'Austria, e non accadrà, o ricollocare una colonna che ricorda la Serenissima, con tutta la retorica nazionalista italianissima rispolverata in una città che di italiano non si sa ancora oggi cosa abbia veramente. Visto che quando cammini per Monfalcone entri dentro una babele dove tra bisiaco, dialetti regionali, e lingue di varie nazionalità sembra di essere in una periferia di una metropoli dell'Est Europa. Ma siamo nell'estrema Italia nord orientale. Ricollocare un simbolo della Serenissima, in una piazza che porta il nome della Repubblica nata dalla guerra di liberazione contro quel fascismo che ha usato impropriamente e forzatamente il mito della Serenissima per italianizzare questi luoghi è in sostanza un frullato storico semplicemente pazzesco. Peggio che mangiarsi una pizza con l'ananas. Invece di affrontare i problemi seri di Monfalcone, in sostanza si parla di lampioni dell'Austria, o colonne della Serenissima, e non invece che il problema è a monte, ovvero uno sperpero di danaro che poteva essere indirizzato a sostegno ad esempio del commercio cittadino o del sociale in una città che pare essere ai limiti della tenuta sociale. Camminando per Monfalcone la sensazione che si ha è quella di trovarsi in un luogo decadente. Non basta mettere i fiori, o colorare la Rocca con il tricolore, o mettere quattro ringhiere, per far risorgere la famosa Fenice dalle ceneri, visto che questo esempio è stato usato parecchio nel corso della pregressa campagna elettorale. Il problema è culturale, sociale, il problema è l'aria che si respira a Monfalcone. E non è buona. Un contenitore con tanti pezzi singoli, individuali. Non c'è più una comunità in questa cittadina. Ognuno per sè. Monfalcone probabilmente è arrivata al suo punto di non ritorno? Probabile. Servirà certamente un cambiamento radicale ed ideologico che dovrà necessariamente passare dalla prossime elezioni amministrative, ma non è detto che possa bastare per rimediare alla questione di Monfalcone, perchè di questo oramai si tratta, della questione di Monfalcone.

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