Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

La Carta del Carnaro e le donne, un fiume di "ciacole"


Non si vuole qui parlare della vita privata di D'Annunzio, anche se spesso vita privata e pubblica si mescolavano. Son cent'anni dalla Carta del Carnaro, osannata da tanti, come una delle costituzioni più moderne di quel tempo, ma che nella realtà delle cose oltre a non essere mai stata attuata, fu a dire il vero d'ispirazione anche per il fascismo con cui la dittatura fiumana di 500 giorni si pose in gran parte in continuità. Il rapporto tra l'occupazione di Fiume, nata con una marcia ai limiti del comico ma che poi è sfoggiata in tragedia con una sessantina di morti, cinque mila croati costretti a fuggire dalle persecuzioni razziste, e la distruzione del tessuto socio-economico della città, oggi croata, e le donne è stato oggetto della nota mostra realizzata nel palazzo del Governatore di Rijeka per il centenario della presa di Fiume. La mostra si chiamava Olocausta, come D’Annunzio chiamava Fiume a volte e guardava l'occupazione della città secondo la prospettiva di tre donne. Una mostra che avrebbe dovuto osare probabilmente di più sull'aspetto critico di quell'occupazione. Le donne in questione furono la pianista Luisa Baccara, nazionalista come il "duce divino", così si faceva chiamare l'umilissimo, per dire, D'Annunzio. L’insegnante Nicolina Fabris, che istruiva i legionari, e Zora Blažić, che nel suo diario descrive cosa comportarono i sedici mesi di occupazione per la città. Sicuramente non rose e fiori. Zora nel suo diario ad esempio racconta come la sua famiglia fu costretta a chiudere i battenti dopo che D'Annunzio approvò una legge con la quale vietava ai non italiani o ai croati di esercitare certe attività. In sostanza fu precursore di quelle leggi razziali che Trieste conoscerà nel 1938. Nella Carta del Carnaro, mai entrata in vigore e rimasta carta straccia, si affrontavano alcune questioni che riguardavano le donne. Ad esempio si riconosceva la sovranità di tutti i cittadini senza divario di sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione. Dunque si affermava una sorta di parità tra i sessi. Si sosteneva che gli statuti avrebbero dovuto garantire entrambi i sessi, andava garantito ad entrambi i sessi la "facoltà piena di scegliere e di esercitare industrie professioni arti e mestieri. Infatti si è visto come la famiglia di Zora ha potuto esercitare questo diritto insieme ad altri cinque mila croati costretti a fuggire da Fiume.  Oppure si scriveva che senza distinzione di sesso diventano legittimamente elettori ed eleggibili per tutte le cariche, sia gli uomini che le donne. Si riconosceva che "nella reggenza italiana del Carnaro tutti i cittadini, d’ambedue i sessi, dall’età di diciassette anni all’età di cinquantacinque, sono obbligati al servizio militare per la difesa della terra", per poi esplicare che "fatta la cerna, gli uomini validi servono nelle forze di terra e di mare, gli uomini meno atti e le donne salde servono nelle ambulanze, negli ospedali, nelle amministrazioni, nelle fabbriche d’armi, e in ogni altra opera ausiliaria, secondo l’attitudine e secondo la perizia di ognuno". Dunque una sorta di contraddizione in termini, un fiume di "ciacole",  se da un lato teorico si riconosceva l'uguaglianza tra i sessi nell'accesso al lavoro, in realtà questa uguaglianza poi tanto uguaglianza non era dal momento che si affermava una tipica visione della società maschilista, e discriminatoria, con gli uomini forzuti chiamati a servire le forze di terra e di mare e le donne, messe sullo stesso piano degli invalidi, degli inabili, degli incapaci, potevano fare le infermierine. E a dimostrazione del fatto che quella carta fu solo tanto fumo, nessuna donna durante i 500 giorni di occupazione fiumana ebbe alcun ruolo istituzionale da annotare.

mb

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