Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Questione profughi, Gorizia è al centro dell'attenzione, senza dimenticare gli esodi del passato

L'Italia è un Paese che ha conosciuto diversi “esodi”. Il più significativo è stato certamente quello che ha interessato i calabresi. Due i periodi di riferimento, che sono successivi comunque alla nascita del Regno d'Italia, quale quello 1871/1951 con 773 mila calabresi emigrati nelle Americhe, e 1951/1971 con 741 mila calabresi emigrati tra il nord Europa ed il Nord Italia. Dunque 1 milione e 514 mila persone che hanno abbandonato la propria terra di origine, fenomeno che ancora oggi, pur in ovvia misura ridotta, continua. Ma anche la nostra regione, il FVG ha conosciuto esodi importanti soprattutto oltre oceano. Ma l'Italia pare, in larga parte ciò averlo rimosso, erano altri tempi, si dirà. Era il la fine di luglio del 1946 e De Gasperi incaricava il vice prefetto ispettore generale Meneghini di costituire a Venezia “un ufficio direttamente dipendente dal Ministero-Gabinetto per la Venezia Giulia- con il compito di apportare un piano organico per l'eventuale esodo della popolazione italiana da Pola e da altre località della Zona B, predisporre i vari e necessari aiuti occorrenti ai profughi al momento della partenza, prendere opportuni accordi con i competenti organi per l'opera di prima assistenza ai profughi e per il loro smistamento verso le altre province che dimostrino adeguate capacità ricettive”.Ciò a dimostrare che il così detto esodo era stato previsto, organizzato e gestito da parte dello stesso Governo italiano. Saranno oltre 150 i provvedimenti legislativi a favore del complesso e variegato mondo degli esuli e saranno miliardi e miliardi di vecchie lire ed essere state stanziate per ciò. E si trattava, nella quasi totalità dei casi, di persone fuggite per effetto della nuova composizione che si determinerà nelle terre, appartenute all'Italia per pochi decenni. Persone che fuggivano soprattutto dal nuovo sistema sociale, non accettato, persone che fuggivano dalla Jugoslavia, che non accettavano. Anche se saranno in tanti ad essere rimasti in Jugoslavia. Dalla fine del 1940 in poi, Gorizia ha dato rifugio a migliaia di istriani italiani che dovevano fuggire dalle regioni annesse alla Jugoslavia. Molti di coloro che si stabilirono in città, hanno avuto un ruolo importante nel plasmare nel suo dopoguerra l' identità nazionale e politica della città. Questo è quanto denuncia, ad esempio, l'enciclopedia libera in versione inglese. Gli organismi di parte rilevano che circa 5 mila esuli hanno scelto come luogo Gorizia andando a costituire circa il 15 % della popolazione residente. Il concentramento, non casuale, che è avvenuto a Gorizia, ha certamente favorito l'assegnazione della città all'Italia piuttosto che alla Jugoslavia. Erano, si dirà anche in questo caso, altri tempi, altre situazioni e vi erano interessi nazionali e di nazionalismo ben chiari. Tutte conseguenze del fascismo. Gorizia ha subito più di altre località gli effetti nefasti del cancro fascista.Un cancro che ha portato allo smembramento della città, ad una guerra che ha comportato, guardando solo i residenti o domiciliati nella città di Gorizia, ben 1918 vittime. Un cancro che ha ucciso il carattere multiculturale, il pluralismo sociale, vitale di Gorizia, che ha diviso per decenni italiani e sloveni, con l'effetto di favorire e determinare un processo di violenza inaudita, senza precedenti nell'Europa Occidentale, contro gli sloveni. Ora, l'allerta in città è alta per la questione profughi e rotta balcanica. Pare che la Prefettura sia stata stata salvata, per l'ennesima volta, soprattutto per tale questione e non è chiaro se quando questa “emergenza” finirà verrà messa nuovamente in discussione, cosa da non escludere. Se in città non si è riusciti a dare accoglienza a centinaia di persone che ancora vivono all'aperto, come si pensa di gestire una eventuale affluenza dalla “rotta balcanica”? Il 19 settembre si scenderà in piazza, partendo dalla stazione centrale dei treni anche per questi motivi. L'Osservatorio regionale antifascista del FVG evidenzierà che Gorizia rischia di diventare a livello regionale e non solo, tristemente, una città simbolo per la questione non accoglienza dei profughi e reazione, che in questa città realtà e politiche d'ispirazione fascista non devono avere spazio, come ricordato anche dall'Anpi nazionale in merito al recente caso di Milano. Ma si evidenzierà che non tutta Gorizia è così ed è stata così, ed il suo contributo nella storia della resistenza all'antifascismo docet. Si pretenderà accoglienza nei confronti dei profughi, perché questa è un dovere istituzionale oltre che sociale e civico, e che non devono esistere divisioni tra italiani e non italiani, l'umanità deve andare oltre i banali pericolosi nazionalismi che altro non fomentano che intolleranze e situazioni minacciose per la convivenza civile. Gorizia, che ha già vissuto fenomeni immigratori ben più consistenti, potrà, se lo vorrà, dare una risposta esemplare dal punto di vista umanitario e ciò non farebbe altro che bene alla nostra regione.
Marco Barone

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