C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

Dalla foto del bambino di Kobane, al bambino che canta "Siam pronti alla morte l'Italia chiamò"



Ha sconvolto il mondo la foto del bambino di Kobane. Diventato simbolo di una società sempre più chiusa in se stessa, una società che deve andare alla ricerca dell'emozione sconvolgente per assolvere se stessa da quelle responsabilità determinate dalla cattiva politica sistemica del presente Occidente. Minuti di silenzio, raccolte fondi, striscioni di solidarietà, un ponte nato sulla pelle di un bambino di Kobane, labile quanto questo tempo, perché non durerà. Domenica sera. Stadio di Palermo. Italia contro Bulgaria. Giocatori accompagnati dai bambini. L'inno d'Italia. E poi quella inquadratura, il bambino che canterà “ Siam pronti alla morte l'Italia chiamò”. Ecco, in tutto questo vi è il senso e lo specchio della nostra società. Un mondo che si commuove per il bambino di Kobane, pur forse nulla conoscendo della realtà di Kobane di cosa lì accade. E centinaia di centinaia sono i bambini uccisi dall'indifferenza, dalla guerra, dalla fame, dalla povertà. dalla fuga in cerca di miglior sorte e vita,ma ora questo mondo ha trovato un simbolo, anzi, il simbolo per cambiare pagina, ora si rincorre la solidarietà, i privati cittadini si sostituiscono allo Stato latitante. Se prima le notizie erano i muri, i manganelli, le intolleranze, adesso sono i cortei di auto, gli applausi. Ed il tutto nel giro di un niente che ha risucchiato la vita di migliaia di persone. Un giro di niente che ha deciso di mostrare il lato dell'Europa che reagisce, solidale, quel lato che magari anche prima era presente, ma non doveva fare notizia. 

E poi la vita ordinaria continua come se nulla fosse. Ed infatti, un bambino nello stadio di calcio, uno di quelli che accompagnerà i giocatori, canterà, "Siam pronti alla morte l'Italia chiamò". Come è noto l'inno di questo Paese mai è diventato ufficiale, il Consiglio dei ministri del 12 ottobre 1946, presieduto da Alcide De Gasperi, acconsentì all'uso dell'inno di Mameli come inno nazionale della Repubblica Italiana così disponendo “(…) Su proposta del Ministro della Guerra si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre p.v. e che, provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’inno di Mameli". Un banale verbale che ha comportato l'effetto di avere ancora oggi quell'inno che per la prima volta venne intonato a Genova durante una festa popolare. Certo, non sfugge che nel 2012 è stata anche approvata la proposta di legge che vorrebbe l'insegnamento dell'inno di Mameli, musicato da Michele Novaro nelle scuole. Ma come si può insegnare nelle scuole l'inno che vuole l'Italia schiava di Roma come iddio la creò, inno che esalta la morte, che celebra la morte, che invoca la morte per l'Italia, per la patria? Quanto ciò è ancora accettabile? Cosa ha realmente insegnato la foto del bambino di Kobane?La sua,ahimè, morte? 
Marco Barone 

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