Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Natale surreale, forse no



Sono le 9 di mattina, il supermarket ha appena aperto, e sembra di vivere l'arrembaggio alle ultime scorte di cibo, come se stesse per giungere una catastrofe, una guerra, una serrata di cui conosci l'inizio ma non la fine.
Ma è semplicemente la vigilia di natale.
Oltre 100 chili di pane venduti in poche ore, persone che si prendono letteralmente a spallate per accaparrarsi gli ultimi prodotti necessari a riempire la pancia di amici e famigliari come quella di un maiale da ingrassare.
Ma è semplicemente la vigilia di natale.
Per l'occorrenza e per essere più buoni si assumono, rigorosamente in nero, persone in difficoltà economica, gli si porge una paletta ritagliata e di cartone, da un lato una macchia rossa, dall'altro una macchia verde, e con quella paletta deve dirigere, ovviamente abusivamente, il parcheggio pubblico, in quel momento diventato parcheggio privato per il supermercato.
Vigili urbani?
Anche loro indaffarati a fare la spesa.
Si deve mangiare.
Crisi?
Ma è natale.
E poi casualmente ti capita, metaforicamente scrivendo, di entrare in una casa che non riconosci più come tale, sembra essere diventata una piccola cappella mariana. Statuine della madonna ovunque, qualche icona di Padre Pio e San Giuseppe, calendari rigorosamente religiosi, rosari e croci ed amen senza mai un reale amen.
E poi l'evento degli eventi. La messa in latino da Piazza San Pietro in diretta televisiva sul canale pubblico italiano.
Non bastano le varie Radio Maria, i canali del Vaticano, no, la Rai deve essere oggi del Vaticano.
Ed ecco che sommessamente, già con quel benedetto sommessamente ritrovato ultimamente anche dalla politica teatrale, sia di destra che sinistra, ti arrivano quelle voci in latino, incomprensibili, quei canti inquietanti, quella voce che accompagna la cronaca dell'evento, quella musica da setta, invadere ogni tuo senso di pazienza.
E' natale.
Certo, ma il problema è che ogni giorno è per l'Italia Natale, e forse ora comprendo perché siamo un popolo che non ha voglia di far nulla, perché è sempre in festa.
Ed allora esci da quel delirio, fuggi per le strade nebbiose di una società ferma all'anno zero che vive ancora di processioni e per le processioni, atti di devozione, segni di martirio, atti di dolore, abiti e vesti senza cappuccio, gesti di accompagnamento verso quei simboli che incidono, scalfiscono profondamente la coscienza dell'essere liberi, ed urli, urli nel tuo silenzio fugace come quel tiro di sigaretta in una notte di un Natale qualunque.




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