C'era una volta Gorz. Gorizia, la città più tedesca del "nord est italiano"

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    Gorizia è oggi, a causa degli eventi del '900, conosciuta forse come la città più italiana, delle italiane, anche se la sua peculiarità discende dal passato asburgico, quello che affascina, quello che interessa i turisti, insieme alla questione dell'ultimo "muro" caduto che divideva Gorizia da Nova Gorica. A partire dal 1500 Gorizia conobbe la sua svolta, una città dove convivevano, senza ghettizzarsi, idiomi diversi, dove la cultura germanofona era rilevante, con l'ultimo censimento dell'Impero che arrivava a contare poco più di 3000 cittadini di lingua tedesca. Tedesco, sloveno, friulano, italiano. Il nome Gorizia, è un nome slavo, una città dallo spirito tedesco, di cui oggi si è praticamente perso pressoché ogni traccia. Salvo iniziative di qualche realtà associativa privata, che mantengono con impegno e passione viva la lingua tedesca a Gorizia e contributi da parte di alcuni storici e studiosi, in città si è assistito ad un vero e proprio annichilime

La libertà di manifestazione del pensiero dei dipendenti pubblici che lottano contro lo Stato


Qual è il limite tra la libertà di manifestazione del pensiero dei dipendenti pubblici e la tutela dell'onore dello Stato italiano? Come è noto è stato pubblicato da poche settimane il nuovo Codice di "condotta" ( DPR 62/2013) per i dipendenti pubblici ed in particolar modo l'articolo 12 comma 2 afferma che “Salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell’amministrazione”. Una norma che si presterà a diverse interpretazioni e su cui, per alcune riflessioni, rinvio a questo mio precedente scritto: Dirittodi critica: offendere una persona non è sempre reato ma insultarel'Italia è Vilipendio. Voglio soffermarmi ora sulla libertà di espressione come sancita dall'articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall'Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848. I principi fondamentali sono i seguenti: 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. 2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati. La violazione di questi diritti comporta il diritto del cittadino a ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali per ottenere il ristoro dei danni subiti, anche morali, purché siano esauriti tutti i possibili rimedi giurisdizionali interni.

Io ho sempre rispettato la libertà di espressione del pensiero, delle manifestazioni politiche ivi correlate, anche se ovviamente non sempre condivise, purché rispettose in via prevalente dell'antinazifascismo e dell'antirazzismo.
Giunge voce che chi solleva l'indipendenza di Trieste, ricollegandosi al Trattato di Pace, rischia, se dipendente pubblico, una sanzione disciplinare. Moralmente ognuno può pensarla come vuole, politicamente anche, ma come detto quanto sarebbero legittime queste sanzioni comminate dal proprio datore di lavoro pubblico?
Premesso che colui che contesta il fatto è anche colui che dovrà sanzionare il fatto, quindi accusa e giudizio, nella fase stragiudiziale coincidono con lo stesso soggetto, esistono dei limiti che devono essere valutati con cognizione di causa.
Il chiedere l'indipendenza di Trieste o di qualsiasi altra realtà, attraverso processi normativi e burocratici, ma anche politici, purché non rientranti nella fattispecie penale vigente dell'eversione dell'ordine democratico e costituzionale, è compatibile con l'attività del dipendente pubblico che lavora presso quello Stato italiano che ha diffidato o contestato. L'importante è che il dipendente conformi la propria condotta, sul luogo di lavoro, ai principi di buon andamento e imparzialita' dell'azione amministrativa e che lo stesso svolga il proprio lavoro nel rispetto della legge, perseguendo l'interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui e' titolare e senza usare a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evitando situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione.
In secondo luogo il dipendente pubblico può usare argomentazioni critiche, anche forti, verso il proprio Stato e conseguentemente datore di lavoro, purché oggettivamente motivate. Del resto, negare il diritto di critica o di manifestazione del proprio pensiero anche attraverso l'esercizio diretto dell'attività politica, solo perché lesivo della reputazione dello Stato, significherebbe negare il diritto pieno di libera manifestazione del pensiero. Verrebbe dunque da chiedersi, tutti quei dipendenti pubblici che hanno appoggiato l'iniziativa referendaria promossa dal Movimento Pastori Sardi, quali i Movimenti Indipendentisti Sardi “Sardigna Natzione Indipendentzia”, ”Indipendentzia Republica de Sardigna”, ”Movimento Nazionalista Sardo”, l’”Associazione degli Artigiani e dei Commercianti Liberi,”, gli “Autotrasportatori”, del movimento delle “donne sarde del digiuno” del “Presidio di Piazzale Trento” e di “No Equitalia”, e che hanno firmato la richiesta di referendum per ottenere l'indipendenza della Sardegna, richiamando i principi della di ratifica delle Nazioni Unite numero 848 del 17-8-1957 e la numero 881 del 25-10-1977 di ratifica ed esecuzione del Patto di New York, devono essere sanzionati? Licenziati?
Certamente no. E non mi pare che ciò sia accaduto. Semplicemente perché è la stessa Costituzione italiana con gli articoli 17, 18 e 21 che legittima tali esercizi di libertà politica e manifestazione del pensiero. Che poi quel referendum sia andato male, ciò è altro discorso, poiché l'articolo 5 della Costituzione italiana lo vieterebbe, stante il fatto che la Repubblica è una ed indivisibile e riconosce e promuove le autonomie locali. Quello che qui interessa è il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con azioni politiche, contro il proprio Stato, che è anche il proprio datore di lavoro.
Se dovesse passare una cosa del genere, quale la sanzione o l'espulsione dal luogo di lavoro per chi osa rivendicare simili istanze, sarebbero a rischio, in verità, tutte quelle soggettività che osano criticare duramente il proprio Stato od attaccare le politiche realizzate dallo stesso. Penso agli anarchici, ai comunisti, agli anticapitalisti, sarebbero i primi ad essere colpiti da tale provvedimento sanzionatorio e fortemente repressivo.
Poi una cosa proprio non la comprendo, o meglio faccio finta di non volerla comprendere. Per anni in Italia il movimento politico quale la Lega nord ha professato l'indipendenza della Padania, perché nulla a tal proposito e di similare è mai stato sollevato? La risposta è scontata. Stesso discorso andrebbe esteso verso chi professa il fascismo, con movimenti politici neonazifascisti, ma anche in questa direzione nulla a tal proposito è stato sollevato, oppure verso le obbedienze massoniche, ma su queste si dirà che non sono segrete, bensì riservate, già.
E' normale che lo Stato debba difendere se stesso, ciò che dovrebbe indurre alla riflessione, invece, è che chi si definisce libero pensatore, che ha materialmente contribuito anche alla scrittura della Costituzione italiana, nello spirito della fratellanza, e dell'illuminazione, contraddica se stesso e la sua stessa Costituzione, nel favorire, e li favorisce, certi fenomeni di repressione.
Perché provocare azioni che possono sfociare in altro rispetto a quello che si è visto sino ad oggi?


Marco Barone



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