La
CGIL ha presentato il suo piano lavoro, che probabilmente verrà
adottato dal PD.
Un
Piano lavoro che per vari aspetti contiene punti condivisibili, come
quella che io ho chiamato in passato l'operazione bonifica Italia,
che potrà conferire lavoro temporaneo per qualche anno e nello
stesso tempo condurre l'Italia verso uno status di normalità in tema
di tutela ambientale e paesaggistica.
Ma
i punti critici non mancano.
Non
si parla di nazionalizzazione, concetto usato anche da Monti per la
Monte dei Paschi di Siena, ma la CGIL non osa.
Parla
invece, in modo propositivo, di centri commerciali, che come ben
sappiamo hanno determinato la morte delle piccole attività anche
artigianali e di buona parte dell'economia italiana, e parla anche di
fondi pensioni.
Nella
sua relazione di accompagnamento, la Camusso afferma testualmente
che: Vogliamo
ragionare dei fondi della previdenza complementare, a partire dai
fondi contrattuali che, come si è visto in questi giorni, sono fonte
di sicurezza per tanti lavoratori associati. La previdenza
complementare è risparmio dei lavoratori, un risparmio ancor più
essenziale dati i repentini cambiamenti della previdenza pubblica che
ne diminuiscono il valore.
E'
indiscutibile che questa materia è leggermente, per non dire di più,
avvolta dal velo del conflitto di interessi, visto che la CGIL ha
interessi diretti e consistenti proprio nel campo della previdenza
complementare.
Ma
il peggio è dato dall'ennesimo richiamo dell'accordo ammazza libertà
e democrazia sindacale del 28 giugno 2011 e sottoscritto solo a
settembre. Nel piano lavoro si afferma che Una nuova qualità, un
nuovo modello di contrattazione ed un ruolo delle parti sociali
Applicazione dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 sul
sistema contrattuale a due livelli
e che sulla base di un accordo/legge su democrazia e rappresentanza
(di cui il 28 giugno definisce le premesse) rinnovare le
rappresentanze sindacali elettive nei settori privati e avviare la certificazione
della rappresentatività dei soggetti sindacali, sviluppare la
democrazia sindacale.
Ma
come si può parlare di democrazia sindacale quando quell'accordo
stabilisce che la rappresentatività dei lavoratori di una sigla
sindacale è misurata dalle deleghe sui contributi sindacali (raccolte
dall’Inps e certificate dal Cnel) ponderate dai consensi nelle
elezioni delle Rsu (rappresentanze sindacali unitarie), con
lo sbarramento al 5%
(se il sindacato non supera questa soglia non è legittimato a
negoziare)?
D'altronde e purtroppo
ciò accade già nel settore pubblico, come la scuola.
Dove
per esempio al sindacalismo di base, che ha migliaia di iscritti, è
negata anche la possibilità di convocare assemblea sindacale nel
luogo di lavoro durante l’orario di lavoro, solo e perchè non
supera quella percentuale.
E
questa la chiamate democrazia? Quell'accordo deve definire la
premessa della futura democrazia sindacale italiana e della legge
sulla rappresentanza?
Ciò
è a dir poco aberrante e viola la carta sociale europea, sì proprio
quella carta a cui la CGIL si appella per contrastare l'abuso della
precarietà in Italia.
Una
carta che al punto 1 comma 6 afferma testualmente che Tutti i
lavoratori e datori di lavoro hanno diritto di negoziare
collettivamente.
Commenti
Posta un commento