Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Legambiente presenta Mare Monstrum 2010

Crescono i reati di inquinamento e abusivismo sulla costa. A rischio aree di pregio e isole minori. Pesca di frodo e illeciti del popolo dei naviganti in calo. Trivellazioni petrolifere off-shore tra i nuovi nemici del mare

Cattiva depurazione, inquinamento e cemento abusivo sono i mali endemici del mare italiano, che niente e nessuno sembra poter scalfire. Persistenti sacche d’illegalità a danno delle coste e dell’ecosistema marino, sulle quali, come ogni anno, Legambiente fa il punto nel suo rapporto Mare Monstrum. L’edizione 2010 del dossier è stata presentata questa mattina a Venezia, in occasione della partenza della Goletta Verde, la storica campagna di monitoraggio delle acque marine dell’associazione ambientalista. L’abusivismo edilizio cresce del 7,6% rispetto all’anno precedente e l’inquinamento derivante da scarichi fognari illegali, cattiva depurazione e inquinamento da idrocarburi addirittura del 45%. I sequestri aumentano del 46,2% passando dai 4.049 del 2008 ai 5.920 del 2009. Calano invece del 40% circa i reati accertati fra la costa e il mare, 8.937 infrazioni nel 2009 a fronte delle 14.544 del 2008, un calo determinato soprattutto dalla riduzione di reati accertati nel campo della pesca (-72,4%) e della nautica da diporto (- 76,6%).



Sempre in testa nella classifica delle illegalità le regioni a tradizionale presenza mafiosa, dov’è stato accertato il 59% del totale dei reati (a fronte del 55,5% del 2008). La Campania con 1.514 infrazioni è stabile al primo posto, seguita dalla Puglia con 1.338 infrazioni, dalla Sicilia con 1.267 infrazioni e dalla Calabria con 1.160 infrazioni. C’è da dire che la riduzione nei reati registrata quest’anno è in parte frutto del lavoro di prevenzione dell’illegalità svolto negli anni dalle forze dell’ordine, ma in parte anche riconducibile al significativo calo dei controlli effettuati dalle Capitanerie di porto, passati dai 618.126 del 2008 ai 529.700 del 2009 con una flessione del 14,3%, determinata da una riduzione di risorse economiche destinate alle attività investigative e repressive che ha penalizzato i controlli svolti in mare, sicuramente più costosi.



“Le emergenze del settore non accennano a risolversi e si consolidano anzi vere e proprie sacche di illegalità sempre più difficili da svuotare. A fronte di una riduzione generale dei reati ambientali ai danni del mare nostrum, crescono quest’anno - ha commentato il vice presidente di Legambiente Sebastiano Venneri – gli illeciti nel settore dell’inquinamento e quelli relativi al cemento sulle coste, con una spiccata predilezione per le aree di pregio e le isole minori. Sorgono anche nuove minacce: gli effetti del riscaldamento globale, le centrali nucleari, il traffico delle petroliere, le navi dei veleni, ma soprattutto le trivellazioni off-shore e il rischio petrolio. Il Mediterraneo è un mare piccolo e chiuso, dove una marea nera comporterebbe danni incalcolabili. Tanto per dare un’idea, la macchia che ha invaso il golfo del Messico alle nostre latitudini coprirebbe l’Adriatico da Trieste al Gargano”.



Una di quelle sacche d’illegalità difficili da svuotare raccontate nel dossier è sicuramente la vicenda delle spadare, le reti killer utilizzate per la cattura del pesce spada e vietate dall’Unione Europea sin dal 2002. Ogni anno migliaia di esemplari tra tartarughe, piccoli delfini, capodogli o balenottere trovano la morte per soffocamento in queste reti killer non selettive che dovrebbero già essere state distrutte grazie ai milioni di euro spesi dall’Ue per indennizzare i pescatori proprietari. Ma molti degli indennizzati hanno prima preso i soldi europei e poi continuato ad utilizzare gli attrezzi illegali come se nulla fosse. In Calabria, Campania, Sicilia e Puglia sono state sequestrate nell’ultimo anno, complessivamente, più di 133 mila metri di reti spadare e quasi 111 mila di ferrettare (una piccola spadara lecita, ma spesso utilizzata in maniera fraudolenta). Le marinerie maggiormente coinvolte nelle operazioni di polizia sono state quelle di Reggio Calabria, Catania, Roma e Napoli. Come sottolineato dagli inquirenti nel settore lavorano a tempo pieno non improvvisati pescatori, ma vere e proprie organizzazioni criminali che spesso controllano intere flottiglie e, sempre più spesso, inquinano i mercati ittici imponendo le proprie regole, investendo e riciclando capitali illeciti. Le due località italiane tristemente note per l’utilizzo delle spadare sono Bagnara Calabra (Rc) e Porticello (Pa). Ma anche San Vito lo Capo si è rivelata lo scorso anno una specie di “porto franco”, soprattutto per i pescherecci catanesi, così come alcuni porti esteri, tra cui quello di Biserta, in Tunisia, di fronte alle coste trapanesi, scelto da numerose flottiglie per scaricare il pescato. Impossibile stimare l’incasso di questo mercato illegale che, assicurano gli inquirenti, non sfigura affatto rispetto a quello legale.



Dal punto di vista dei reati accertati sul demanio, la Sicilia è la regione con più illegalità sul fronte dell’abusivismo con 749 infrazioni accertate; segue la Campania con 702, la Calabria con 561 e la Sardegna con 499 infrazioni. Il mattone illegale continua ad essere una piaga italiana, spesso terreno d’azione prediletto della criminalità organizzata e scarsamente fronteggiato da un sistema di controlli locali poco efficace e permeabile a logiche clientelari e corruttive. Se al nord si amplia illegalmente, al centro e soprattutto al sud si costruisce ex novo, dalle villette singole fino ad interi complessi turistici e residence di lusso. Con il risultato dello scempio sistematico delle aree di maggior pregio ambientale, come raccontano le numerose storie raccolte in Mare Monstrum. D’altro canto, l’inserimento di un nuovo condono edilizio nella manovra finanziaria rimane per il governo una tentazione sulla quale non è ancora stata detta l’ultima parola.

Il cemento sulla costa sembra prediligere i luoghi di maggior pregio e le isole minori. A cominciare da Ischia, con le sue 25 mila richieste di condono, che quest’anno si è trovata di nuovo a fare i conti con il tributo di vite umane alla mala gestione del territorio. Ma anche Lampedusa, dove fioriscono gli abusi, realizzati anche con sostanziosi contributi pubblici; Lipari, dov’è prevista la realizzazione di due nuovi approdi turistici; l’Elba dove si pensa all’edificazione di almeno un paio di villaggi turistici. Ricorsi in vista contro gli abbattimenti, invece, su quella che da anni è stata ribattezzata la collina del disonore, ora che la seconda sezione della Corte d’appello di Palermo ha bloccato la confisca di 14 ville a Pizzo Sella, la lottizzazione della mafia che affaccia sul mare di Mondello. Secondo i giudici, i proprietari delle 14 case avevano acquistato “in buona fede”, quindi non possono essere considerati complici della colata di cemento abusiva che punteggia l’area di scheletri.



Numeri imbarazzanti per il settimo Paese più industrializzato al mondo sono anche quelli sugli scarichi civili non depurati: il 30% degli italiani - pari a 18 milioni di cittadini - non è servito da un impianto di depurazione, mentre il 15% non ha a disposizione una rete di fognatura dove scaricare i propri reflui. Dati che viaggiano spesso insieme con quelli dell’abusivismo edilizio di cui, di solito, gli scarichi illegali sono la conseguenza. Per quanto riguarda le fognature, solo la Lombardia supera il 90% di copertura della popolazione, fanalino di coda la Sardegna e la Liguria con il 75%. Le 15 regioni costiere sono tutte sotto il 90%. Ma i problemi principali riguardano il servizio di depurazione. La regione in cui si registra il deficit maggiore è la Sicilia dove 2,3 milioni di persone (il 54% del totale) riversano i propri scarichi non depurati nel mare. A seguire la Campania dove il servizio copre solo il 67% della popolazione lasciando scoperti quasi 2 milioni di cittadini, poi il Lazio e la Toscana, con circa 1,4 milioni (il 38% del totale) di persone scoperte. A causa di questi numeri, l’Italia ha in corso una procedura d’infrazione europea per il mancato trattamento delle acque reflue in ben 178 comuni italiani di dimensioni medio-grandi. Le 5 regioni sotto accusa dall’Europa sono la Sicilia, con 74 comuni inosservanti, fra cui spiccano diversi capoluoghi di provincia come Palermo, Catania, Messina, Ragusa, Caltanissetta e Agrigento; la Calabria con 32 Comuni tra i quali Reggio Calabria, Lamezia Terme e Crotone; la Campania con Benevento, Napoli, Salerno, Avellino, Caserta ed altri 18 agglomerati tra cui Ischia; la Liguria con 19 comuni fra cui Imperia, Genova e la Spezia; e poi 10 comuni pugliesi, le province di Campobasso, Isernia, Trieste e Chieti e così via. Uno degli esempi più evidenti di cattiva depurazione è quello dei Regi Lagni, una serie di canali d’acqua che attraversano un bacino di più di 1.000 chilometri quadrati tra l’area napoletana e quella di Caserta, la provincia che da anni si attesta al primo posto per maggiore percentuale di costa vietata alla balneazione, dove solo il 35% della costa è considerato balneabile. Proprio la mancata depurazione degli scarichi che confluiscono nei Regi Lagni ha portato nei mesi scorsi all’inchiesta congiunta della Procura di Nola e S. Maria Capua Vetere sui depuratori non funzionanti e i veleni scaricati direttamente in mare, che ha portato all’emissione di numerose ordinanze di custodia cautelare.

Certo non migliorerà la situazione l’entrata in vigore, già da quest’estate, della nuova normativa sulla balneazione, che allinea l’Italia agli altri paesi dell’Unione europea ma è molto più blanda di quella che ci ha accompagnato fin dal 1982. Un allineamento al ribasso, quindi, rispetto alla severità con la quale era stata recepita la precedente normativa.



Tra le novità di quest’anno, anche la minaccia di nuove trivellazioni nel mare italiano. La preoccupazione è tanta e rimanda alla tragedia che si sta consumando negli ultimi due mesi nel Golfo del Messico, con l’incidente occorso alla piattaforma petrolifera della British Petroleum. Molte società energetiche hanno infatti avanzato richieste di ricerca, e in alcuni casi ottenuto permessi, in un’estensione di circa 39mila kmq dislocati in 76 aree, per la gran parte di elevato pregio ambientale e considerate zone sensibili proprio per i loro ecosistemi fragili e preziosi da tutelare. Le attività di ricerca in mare di idrocarburi sono concentrate nel mar Adriatico, Ionio e nell’area antistante la Sicilia meridionale e occidentale: si tratta di 24 permessi di ricerca rilasciati per una superficie complessiva di circa 11mila kmq. I luoghi più interessati dalle attività di ricerca di petrolio sono la costa tra le Marche e l’Abruzzo (3 permessi di ricerca), il tratto di costa pugliese soprattutto tra Bari e Brindisi (2), il golfo di Taranto e il canale di Sicilia (12). L’ultimo permesso in ordine cronologico è stato rilasciato pochi giorni fa alla Shell Italia per avviare le prospezioni in un’area di mare di 1.356 kmq di fronte al golfo di Taranto. Ma la multinazionale energetica sta già pensando a nuove ricerche nel canale di Sicilia a caccia di uno dei più grandi giacimenti d’Europa. E i tratti di mare che rischiano l’arrivo di “trivella selvaggia” e piattaforme nei prossimi anni potrebbero essere molti di più: dal 2008 ad oggi infatti sono state presentate altre 41 domande per 23.408 Kmq.

fonte: http://www.legambiente.eu/archivi.php?idArchivio=2&id=5878

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