Maggio 1948: il primo treno d'Italia a Monfalcone dopo la guerra

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Poche ore dopo l'insediamento del primo Presidente della Repubblica, a Trieste, giungeva il primo treno d'Italia, dopo la fine della seconda guerra mondiale. Treno che passava chiaramente anche dalla stazione di Monfalcone, come testimonia un breve fermo immagine tratto dal prezioso video dell'archivio dell'Istituto Luce. Il video interessa l'i naugurazione della linea ferroviaria Venezia-Trieste. Fu un fatto storico di estrema importanza, un piccolo segnale di ritorno alla normalità in un Paese ridotto in macerie a causa della seconda guerra mondiale. Le ferrovie sono sempre state importanti nel nostro territorio, soprattutto grazie agli investimenti originari effettuati dall'Impero asburgico. Nel 1854 venne infatti aperta la linea da Trieste a Vienna  attraverso il Semmering. Il progettista fu il veneziano Carlo Ghega, a cui a Trieste è dedicata una via in città, linea di 14 gallerie, una delle quali raggiungeva la lunghezza di  ben 1431 m, con 16 viadotti e

Iraq, civili nel mirino.

'Migliorare urgentemente la protezione nei confronti della popolazione civile, al centro di una nuova ondata di violenza mortale'. A chiederlo, alle autorita' irachene, e' Amnesty International nel rapporto diffuso oggi, 'Iraq: civili nel mirino'. Secondo il rapporto di Amnesty, ogni mese vengono uccise o ferite centinaia di persone, molte delle quali prese di mira per motivi religiosi, a causa dell'origine etnica o dell'identita' sessuale o perche' hanno denunciato le violazioni dei diritti umani. La perdurante incertezza sulla formazione del nuovo governo ha dato vita a una nuova spirale di attacchi, con oltre 100 civili uccisi solamente nella prima settimana di aprile.

'La popolazione irachena - ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International - vive ancora in un clima di paura, a sette anni dall'invasione diretta dagli Usa. Le autorita' di Baghdad potrebbero fare molto di piu' per la sua incolumita', ma continuano a non assistere le persone piu' vulnerabili della societa'. L'organizzazione per i diritti umani sollecita dunque le autorita' irachene 'a impegnarsi maggiormente per proteggere coloro che sono particolarmente a rischio e portare i responsabili di reati violenti di fronte alla giustizia, evitando il ricorso alla pena di morte'.

Pur attribuendo la responsabilita', in alcuni casi, alle forze di sicurezza irachene, alle truppe straniere o ad attori privati come le famiglie, Amnesty International sottolinea che 'la maggior parte delle uccisioni di civili vengono compiute dai gruppi armati, compreso al-Qaeda in Iraq, che mantiene una rilevante presenza nel paese nonostante la recente morte di tre suoi alti dirigenti. I difensori dei diritti umani, i giornalisti e gli attivisti politici sono tra coloro che vengono assassinati a causa del loro lavoro'. Il 13 aprile Omar Ibrahim al-Jabouri, direttore delle relazioni esterne dell'emittente televisiva Rasheed, ha perso le gambe nell'esplosione della sua automobile, cui era stata fissata una bomba, mentre si stava recando al lavoro a Baghdad.

Le minoranze etniche e religiose continuano a loro volta a essere prese di mira. A febbraio a Mosul, si legge nel rapporto, sono stati assassinati almeno otto cristiani. In un caso, il 17 febbraio, i due studenti cristiani Zia Toma (22 anni) e Ramsin Shmael (21 anni), sono stati bloccati da uomini armati a una fermata dell'autobus e costretti a mostrare i documenti; immediatamente dopo, gli aggressori hanno aperto il fuoco, uccidendo Toma e ferendo Shmael. Le donne e le ragazze sono particolarmente esposte alla violenza dei familiari e dei gruppi armati.

Il rapporto di Amnesty International denuncia 'poche condanne per stupro e frequenti casi di 'delitti d'onore', commessi dai parenti nei confronti di donne il cui comportamento e' ritenuto contrario ai codici morali, come nel caso del rifiuto di sposare un uomo scelto dalla famiglia. Anche le attiviste per i diritti umani vengono colpite per essersi schierate dalla parte dei diritti delle donne'. Gli appartenenti alla comunita' gay, in un paese dove l'omosessualita' non e' tollerata, vivono sotto la costante minaccia di violenza. Alcuni predicatori musulmani hanno chiesto ai loro fedeli di attaccare persone sospettate di essere omosessuali.

Spesso, denuncia ancora Amnesty, 'le autorita' non svolgono indagini esaurienti e imparziali sugli attacchi contro la popolazione civile, non arrestano i presunti responsabili e non portano questi ultimi di fronte alla giustizia. In alcuni casi, le stesse autorita' sono sospettate di coinvolgimento in atti di violenza'. Il risultato di questo clima di sicurezza e' che centinaia di migliaia di iracheni, tra cui un'alta percentuale di appartenenti alle minoranze, sono stati costretti a lasciare le loro case. I profughi interni e i rifugiati sono ancora piu' a rischio di subire violenza e di attraversare difficolta' economiche. In questo senso, Amnesty International chiede alle autorita' irachene 'l'introduzione immediata di misure per rafforzare la sicurezza dei civili, attraverso una consultazione con i gruppi a rischio che porti a individuare i provvedimenti piu' efficaci per la loro protezione'.

Nel frattempo, sottolinea l'organizzazione per i diritti umani, 'e' necessario che le autorita' avviino adeguate indagini sugli attacchi contro i civili e sottopongano a processi in linea con gli standard internazionali i presunti responsabili, di chiunque si tratti. Le milizie dovrebbero essere immediatamente disarmate e dovrebbe essere eliminato l'obbligo di dichiarare sulla carta d'identita' l'appartenenza religiosa'. Amnesty International chiede altresi' ai gruppi armati presenti in Iraq di 'porre immediatamente fine agli attacchi contro i civili, ai sequestri e alle torture'.

Infine, l'organizzazione per i diritti umani sollecita 'la fine di tutti i rimpatri forzati di rifugiati in Iraq fino a quando perdurera' l'instabilita' nel paese. Diversi governi europei stanno eseguendo rimpatri forzati in Iraq, persino nelle zone piu' pericolose del paese, in chiara violazione delle linee guida emesse dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati'.

Amnesty International ha parlato con un gruppo di 35 iracheni rimpatriati a forza dal governo olandese il 30 marzo. Tra di loro c'era un turcomanno sciita di 22 anni originario di Tal Afar, una citta' a nord di Mosul, dove negli anni scorsi sono state assassinate centinaia di persone per motivi religiosi e politici e dove la violenza regna incontrastata. Il ragazzo, un mese dopo, era ancora a Baghdad, in cerca di un riparo. 'La continua incertezza sulla formazione del nuovo governo - ha concluso Smart - potrebbe contribuire a un ulteriore escalation di violenza, di cui farebbe le maggiori spese la popolazione civile. La situazione rischia di andare di male in peggio. Tanto le autorita' irachene quanto la comunita' internazionale devono agire subito per pervenire altre morti evitabili'.
http://www.affaritaliani.it/politica/iraq_amnesty270410.html

come dire fallimento totale della politica di intervento repressivo militare occidentale, vista l'indipendenza rivendicata da amnesty international dalle varie forze governative sarebbe stato auspicabile un mero atto di richiesta di inversione di rotta ovvero invitare le forze di invasione ad abbandonare lIraq rilevato che continuano ad essere i diretti responsabili della instabilità governativa in quel Paese e della morte dei poveri civili che come sempre sono quelli che pagano il prezzo più caro!
Marco B.

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