Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Collaboratore de "Il Giornale" si autoinvia un falso messaggio delle BR

Simulazione di reato e procurato allarme. Questi i reati per cui è stato denunciato alla procura dalla Digos il giornalista collaboratore della redazione genovese de Il Giornale, Francesco Guzzardi, accusato di essersi auto inviato un messaggio minatorio corredato da stella a cinque punte. Questo il testo del mesaggio: "Non abbiamo ancora deciso se spaccare prima il culo al vostro servo Gizzardi l'infame della Valbisagno e degli sbirri o passare prima da voi molto presto lo scoprirete". Il messaggio, scritto a mano, era stato messo sotto la porta della redazione de Il Giornale di viale Brigate Partigiane la scorsa settimana e conteneva anche minacce nei confronti del capo della redazione, Massimiliano Lussana. C'era stata un'immediata denuncia alla polizia. La stella a cinque punte aveva spinto gli agenti della Digos ad farsi carico del caso. Il giornalista era stato convocato in questura. Una semplice prova calligrafica aveva fatto emergere la verità. Guzzardi ha ammesso di avere vergato il mesaggio dicendo di essere stato oggetto di minacce insieme ad altri membri della sua famiglia da parte di malavitosi e di nomadi della periferia genovese in seguito alla propria attività di giornalista nel quartiere della Valbisagno e di avere scelto questo "singolare" modo per sollevare il caso e fare partire un'indagine.

fonte: senzasoste

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