Quella lenta riscoperta delle proprie origini ricordando i caduti austroungarici contro la damnatio memoriae del nazionalismo italiano

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Timidamente, negli anni, son sorti dei cippi, delle targhe, dei monumenti, defilati o meno, con i quali ricordare ciò che dall'avvento del Regno d'Italia in poi in buona parte del Friuli è stato sostanzialmente cancellato dalla memoria pubblica, ma non ovviamente da quella privata. Un territorio legato all'impero asburgico, che ricorda i propri caduti italiani che hanno lottato per la propria terra asburgica. Nei ricordi  memorie delle famiglie che si son tramandate nel tempo è difficile raccogliere testimonianze negative di quel periodo, sostanzialmente si viveva tutti assieme, ognuno con le proprie peculiarità e l'irredentismo italiano era solo una minoranza di un manipolo di esagitati. Poi, come ben sappiamo, con la guerra, le cose son cambiate in modo terrificante, per arrivare alla dannazione della memoria che ha voluto cancellare secoli e secoli di appartenenza asburgica. Lentamente, questi cippi, targhe, dal cimitero di Ronchi, al comune di Villesse, a Lucinico,

Immigrazione, il mercato delle braccia

Il lavoro stagionale in Puglia e Calabria è svolto sempre più dagli stranieri. Siamo passati dai 20.000 ingressi del 2001 agli 80.000 del 2009. Nel Foggiano un immigrato guadagna dai 4 ai 6 euro per riempire un cassone di pomodori di 350 chili

di Sonia Cappelli rassegna.it
Sono ottantamila gli ingressi per lavoratori stagionali extra Ue programmati quest’anno dal governo e 45.000 le domande di nulla osta per lavoro stagionale presentate finora attraverso la procedura on line sul sito del ministero dell’Interno. Lavoratori sfruttati, malpagati, sottoposti ad ogni genere di vessazione. Un piccolo, grande esercito di persone che sui binari delle loro miserie hanno intrapreso un percorso nel nostro paese, che però non li tutela abbastanza, nonostante il loro lavoro sia ormai diventato indispensabile per la nostra agricoltura.

Fino agli anni 70 la manodopera stagionale agricola era quasi esclusivamente italiana, ma dagli anni novanta la presenza di lavoratori stranieri nello svolgimento di questo tipo di lavoro si è imposta in modo decisivo. La loro disponibilità a lavorare in condizioni dure e con retribuzioni da miseria li rende merce più appetibile per i proprietari delle aziende agricole. Basti pensare che siamo passati dai 20.000 ingressi per lavoro stagionale del 2001 agli 80.000 del 2009. In un documento del 2005 i “Medici senza Frontiere” tracciavano il cosiddetto “circuito degli stagionali”, che andava dalla Campania, nelle serre dei prodotti ortofrutticoli, a Foggia, per la raccolta dei pomodori, ad Andria per quella delle olive e in Calabria, per la raccolta delle arance, fino alla Sicilia per la vendemmia di settembre.

Oggi quel circuito si è ulteriormente esteso, comprendendo la raccolta delle fragole nel Veronese, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia- Romagna, dell’uva in Piemonte, del tabacco in Umbria e Toscana. Una evidente dimostrazione di come gli immigrati occupati in agricoltura contribuiscano in modo strutturale allo sviluppo economico di questo settore e a mantenere il primato nel mondo dei prodotti alimentari italiani. Ciononostante la manodopera stagionale straniera vive in un girone infernale, in cui lo sfruttamento è prassi comune. Basti pensare che nel Foggiano un bracciante immigrato guadagna dai 4 ai 6 euro per riempire un cassone di pomodori di 350 chili.

L’Inca, già nel 1990, era in prima fila ad occuparsi delle condizioni di questi lavoratori. Infatti, assieme all’Associazione “Non solo nero”, ha contribuito alla realizzazione del Villaggio della solidarietà di Villa Literno e a luglio, quando il campo ha aperto le porte ai primi immigrati, il patronato era presente con il suo “Camper dei diritti” per vincere la battaglia della diffidenza, ma anche e soprattutto quella per la promozione dei diritti anche tra chi sapeva di essere escluso ed emarginato. Da allora molto cammino è stato fatto sulla strada della giustizia sociale, ma troppi ancora sono gli ostacoli che si frappongono a una sua equa applicazione.

Nella regione Puglia è stata varata la “legge Barbieri 2007” che, per arginare il fenomeno dello sfruttamento dei cittadini immigrati impiegati nelle campagne agricole e favorire l’emersione del lavoro irregolare, offre loro un’accoglienza abitativa nei cosiddetti “alberghi diffusi”. Strutture che, oltre ad assicurare alloggi decenti, danno un’accoglienza sociale, garantendo una rete di servizi socio-sanitari con l’impiego di assistenti e mediatori linguistico-culturali, la sorveglianza e la sicurezza pubblica e corsi gratuiti per imparare la lingua italiana. Una legge, quella pugliese, considerata dalla stessa Unione europea all’avanguardia rispetto alle normative vigenti in altre nazioni e per questo la Regione è stata premiata in occasione del concorso organizzato dal Comitato delle regioni dell’Unione europea per le migliori pratiche amministrative dei ventisette paesi. Ciò non significa che non ci sia sfruttamento in Puglia. “Ad esempio – racconta Daniele Giovanni, direttore dell’ufficio Inca di Foggia – non sono applicati gli “indici di congruità”, previsti dalla legge; quelli che, analizzando il rapporto tra produzione e ore lavorate, servono per inquadrare le attività delle imprese e a verificare le eventuali anomalie nel lavoro impiegato. Un’attenta verifica di questi parametri consente di far emergere casi del tipo: 40 milioni di euro di fatturato e zero dipendenti in un’azienda agricola. Un paradosso che si può spiegare solo con il lavoro nero”.

Ma non basta. In Puglia il fenomeno della vendita dei contratti di lavoro è molto diffuso. “All’ufficio Inca di Foggia, che si occupa prevalentemente di rinnovi e rilascio di permessi di soggiorno, nonché di ricongiungimenti familiari per i lavoratori extracomunitari a lungo termine, sono molti gli stranieri – aggiunge Magdalena Jarczak, dello Sportello immigrati – che si rivolgono a noi per avviare vertenze. Questo avviene perché c’è chi specula chiedendo il pagamento preventivo di un contratto di lavoro, che nella maggior parte dei casi poi si rivela inesistente”. L’Inca Cgil, assieme alla prefettura, alla questura e a varie associazioni, presidiando costantemente il territorio, è riuscito a denunciare diversi episodi di questo genere e ha contribuito a migliorare la situazione.

Nel 2007, per combattere la piaga del lavoro nero, è stato avviato il progetto “Non solo braccia”, promosso dalla Regione Puglia e dalla Provincia, a cui partecipano l’Inca e molte altre associazioni no profit, per costruire una rete di sostegno, di orientamento e accompagnamento al lavoro attraverso l’attivazione di nuovi percorsi di inclusione. Si tratta di un piccolo tassello e dunque non ancora sufficiente. C’è molto altro da fare, perché il “mercato delle braccia” sa scegliere nell’eterogeneo mondo dei lavoratori stranieri. Per lucrare in modo illegale si preferiscono immigrati deboli, malinformati e ricattabili, perché più esposti al rischio di un ritorno forzato ai loro paesi di origine, come sono, per esempio, i cittadini africani o thailandesi, che provengono da realtà disperate, dove i diritti e la democrazia sono ancora chimere.

Spostandoci in Calabria, altra regione dove il lavoro agricolo stagionale è molto sviluppato, le cose non cambiano, nonostante le dichiarazioni dello stesso governatore regionale, Agazio Loiero, e l’impegno, peraltro assolto, a varare entro giugno la legge di accoglienza: “Noi gli extracomunitari abbiamo deciso di accoglierli e di integrarli col territorio. Abbiamo le nostre piaghe, ma qui da noi batte un cuore da emigrante”. Nella piana di Gioia Tauro è stato attivato uno sportello Inca che accoglie tutti gli immigrati bisognosi dell’assistenza del patronato “perché il nostro è un Comune di frontiera”, lo ha definito Vincenzo Auddino, direttore dell’Inca di Gioia Tauro. “Gli stranieri che si rivolgono a noi – spiega – sono di tutte le nazionalità, anche africani che, però, curiosamente non appaiono nelle liste di coloro che chiedono i permessi di soggiorno. Vivono un presente e un futuro da irregolari e sono quasi esclusivamente impiegati nella raccolta degli agrumi e delle olive”.

L’Inca ha attivato un proficuo rapporto con l’associazione di “Medici senza Frontiere” per tentare di fornire un concreto contributo per l’integrazione, perlomeno sul piano dell’assistenza sanitaria, e assieme ha sollecitato l’intervento delle istituzioni per risolvere la situazione della ex cartiera di Rosarno. Un vecchio stabilimento, costruito nei primi anni 90 grazie a una legge (L. 488), per il quale sono stati stanziati finanziamenti a fondo perduto che dovevano servire ad avviare attività produttive nelle zone economicamente depresse. “In realtà – spiega Auddino – i 9 milioni di euro sono serviti solo ad arricchire l’imprenditore bresciano che scappò lasciando solo l’amarezza di ciò che sarebbe potuto essere”. L’ex cartiera di Rosarno è oggi una struttura fatiscente utilizzata come casa dai migranti che arrivano nella zona durante il periodo della raccolta delle arance, senza luce e senza i necessari servizi igienici”.

Gli ospiti di questa struttura convivono con la diffidenza e la paura. “Hanno paura anche solo di avvicinarsi a una sede sindacale – sottolinea il direttore del patronato della Cgil –. Da queste parti, infatti, le vertenze per il mancato rispetto del contratto di lavoro sono solo occasioni eccezionali. Peraltro, come è facile immaginare, il caporalato non gradisce che le “braccia” stringano rapporti con la gente del luogo. Per esso devono rimanere nell’indigenza, senza alcuna certezza perché è più facile sfruttarli e ricattarli. I corsi di italiano, avviati dall’Inca, hanno avuto risultati deludenti, per la scarsa partecipazione. Ciononostante li abbiamo utilizzati per far conoscere i loro diritti. Sono una goccia importante, ma pur sempre di un oceano”.

29/06/2009 00:30

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